Per il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Trani, Ivan Barlafante, che lo scorso 30 marzo ha pronunciato sentenza di condanna nei confronti di Dario Sarcina e Cosimo Damiano Borraccino, accusati della morte di Michele Cilli, l’omicidio sarebbe maturato «senza ombra di dubbio nell’ambito del controllo sulle piazze dello spaccio gestito dal clan Sarcina». Sono racchiuse in 176 pagine le motivazioni della sentenza del processo, celebratosi con rito abbreviato, che ha portato alla condanna a 18 anni e otto mesi di reclusione per omicidio volontario per il 34enne Dario Sarcina e alla condanna a 5 anni e 8 mesi di reclusione nei confronti di Cosimo Damiano Borraccino, accusato di soppressione di cadavere.
La conferma che anche Cilli sarebbe stato coinvolto in vicende legate allo spaccio di sostanze stupefacenti, sarebbe stata trovata nell’agendina rinvenuta nel corso delle indagini nella sua stanza, in cui erano appuntati «nomi e cifre riconducibili alla tipica contabilità tenuta nel traffico di stupefacenti», scrive il giudice. Nelle motivazioni si spiega anche che «già tre anni» prima della sua scomparsa e morte, il 24enne «era stato minacciato da Sarcina»: a dirlo alcuni testimoni ascoltati dagli investigatori.
«Il delitto non era stato programmato per quella sera» ovvero nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2022 per «le circostanze accertate e» per «la mancanza da parte» di Sarcina «di approntare e addurre più adeguate e logiche circostanze della scomparsa di Cilli e di costruire un alibi più solido a suo favore». Come le spiegazioni fornite agli inquirenti sulle ferite alle mani: l’uomo avrebbe riferito di una lite con la moglie e di un pugno contro uno specchio. I referti medici invece, definiscono le lesioni «da taglio, avendo margini netti e profondi» e di nessuna estrazione di frammenti di specchio dalle ferite. I due condannati sono stati anche interdetti «in modo perpetuo» dai pubblici uffici.