“Ogni amore malato va scartato, subito”: è tassativo e non lascia spazio ad attenuanti Don Filippo Salvo, nella sua introduzione all’incontro che ha organizzato e promosso nella serata di ieri, 5 febbraio, presso l’auditorium adiacente alla sua parrocchia, la Chiesa dello Spirito Santo a Barletta.
La sala è gremita di gente, i posti a sedere, tanti, sono tutti occupati e lungo il perimetro le persone si sistemano in piedi. L’occasione è il primo incontro del progetto “Sentieri di comunità”, un luogo fisico ma anche concettuale, in cui Don Filippo Salvo e Don Enzo Misueriello hanno voluto invitare e accogliere tutti i cittadini che hanno risposto alla sua chiamata. Questo primo appuntamento, promosso in collaborazione con l’Osservatorio Antiviolenza Giulia e Rossella e Christian Binetti, ha posto l’attenzione sulla violenza contro le donne, ma anche sulla violenza in generale, che ha come comune denominatore la mancanza di rispetto per l’altro.
“Il rispetto dell’altro è caduto”, dice infatti il parroco, sempre nel suo discorso iniziale, sottolineando che ogni amore sbagliato parte da una mancanza di rispetto e pone, invitando tutti a fare lo stesso, una domanda virtuale a ogni maltrattante: “ma tu chi sei?”. Chi sei, per permetterti di offendere, insultare, picchiare, annullare, un’altra persona? Chi credi di essere?
“Vi ringrazio, se avremo il coraggio di togliere il velo su ogni amore sbagliato. Dio li fece maschio e femmina, ma non disse, poi, omologatevi l’uno all’altro. Non disse, il pensiero dell’uno diventi il pensiero dell’altro”.
Ci sono molti modi di mettere l’abito talare al servizio del prossimo e Don Filippo Salvo non ha dubbi su quale sia il suo, definendo la chiesa, la sua almeno, un’agenzia sociale. Un luogo dove, oltre a omelie e sacramenti, si prova ad avere cura dell’altro tendendo la mano nelle difficoltà ordinarie, ma anche in quelle straordinarie. Ogni volta che un quartiere che diventa più pericoloso, nei casi di abusi, di violenze, in tutte quelle circostanze in cui nessuno può salvarsi da solo e soltanto una rete, una comunità, possono fare la differenza. Ecco la sua chiesa, nei piani di Don Filippo Salvo, deve essere la mano che intreccia quella rete di assistenza, di ascolto, di relazioni e di soluzioni, quando possibile.
Gli interventi dell’avvocata Laura Pasquino e della dottoressa Marina Gentile, rispettivamente legale e psicologa dell’Osservatorio Giulia e Rossella, sono privi di retorica e vanno dritti al punto. Una donna su tre, secondo dati ISTAT, è stata oggetto di una qualche forma di violenza, fisica e/o psicologica, e il primo segnale che hanno in comune tutte le manifestazioni violente, di qualsiasi natura, è il controllo.
Il controllo personale, quindi del telefonino, degli impegni o delle amicizie, ma anche un controllo più subdolo e apparentemente innocuo come quello degli scontrini della spesa o più evidente, come quello degli acquisti o delle entrate economiche personali. Quello che l’Osservatorio insiste nel comunicare è che ogni forma di limitazione della libertà individuale di una donna è una forma di violenza. Magari allo stato embrionale, ma pur sempre violenza, e questa, purtroppo, è destinata ad amplificarsi, una volta che la miccia si è accesa.
Consapevoli che la difficoltà più grande per le donne che subiscono queste vessazioni non sia il riconoscerle come tali, bensì trovare la forza di affrontarle e di accettare il fallimento di quella relazione, che sia di natura amorosa o familiare in senso stretto (padri, zii, fratelli), quello su cui insistono la dottoressa Pasquino e la dottoressa Gentile è il chiedere aiuto, che ci si senta pronte a denunciare oppure no. Iniziare a crearsi una rete, è il primo passo non solo per affrontare una violenza ma anche per avviare un percorso che aiuti a metabolizzare la rottura.
È innegabile, infatti, che la situazione sociale ed economica in cui vivono le donne vittime di violenza sia spesso determinante per la loro decisione. La mancanza spesso di un lavoro solido, di una rete familiare accogliente e presente, sono deterrenti potentissimi alla denuncia, e al tempo stesso sono le leve su cui il maltrattante si fa forte per schiacciare la sua vittima, aggravando sempre di più il suo stato di solitudine, isolamento e dipendenza economica. Molto spesso, inoltre, i carnefici dispensano promesse di redenzione e attimi di profondo romanticismo, che non sono altro che l’anticamera di una nuova aggressione.
Un uomo che ha usato violenza non cambierà.
Un uomo che manca di rispetto non smetterà di denigrare.
Un uomo che pretende di esercitare il controllo sulla vita di una donna non cesserà di farlo.
Tutti questi fattori che all’inizio sono dei campanelli d’allarme magari flebili, si faranno via via sempre più ricorrenti, violenti e assordanti, e quello che può fare la comunità è tanto semplice quando salvifico: mettersi in ascolto e prendere sempre sul serio i segnali e le confidenze che parlano di violenza. Diffondere le informazioni utili, come il numero di emergenza 1522 e informare la vittima o presunta tale, che i centri antiviolenza esistono e funzionano, che sono gratuiti, che garantiscono l’anonimato e che non costringono a fare passi che non si è pronte a fare, sono tutti gesti che richiedono pochissimo sforzo ma che possono davvero salvare una vita.
I temi toccati, nel corso della sera sono stati tantissimi, alcuni spunti interessanti sono arrivati anche dalle domande fatte dal pubblico, come ad esempio gli interventi a favore degli orfani delle vittime di violenza. Abbiamo così scoperto che la Puglia è una regione tristemente all’avanguardia in questo senso: agli orfani “speciali” (questo il termine tecnico con cui vengono definiti i bambini figli di donne vittime di femminicidio), vengono destinati fondi (pochi, a parere unanime degli addetti ai lavori) ma anche un’assistenza a lungo termine nei Centri di Gestione del Trauma. Nella nostra regione, inoltre, esiste il progetto GIADA (Gruppo Interdisciplinare Assistenza Donne/bambini Abusati) dell’unità operativa di Psicologia del Policlinico di Bari-Giovanni XXIII, un percorso psicologico e psicoterapeutico dedicato ai minori orfani speciali.
Non sono mancati i momenti artistici, a cura di Christian Binetti, della cantante Fabiola Corvasce e dei musicisti Sabino Desiderio e Giuseppe Daleno, e interventi dei ragazzi che abitualmente partecipano alle attività della parrocchia. Molto toccante l’interpretazione fatta da Binetti di una versione riveduta e corretta per l’occasione proprio da lui, di una lettera allo Stato scritta da Luciana Littizzetto diverso tempo fa.
“…
Caro Stato…
Sai quante sono le donne in Italia? Il 51,3 per cento. E tante, tantissime di loro ogni giorno sono picchiate, minacciate, calpestate e spesso uccise da un compagno o un marito violento. Si chiama femminicidio.
E il femminicidio, caro Stato, non è quasi mai un evento imprevedibile. Per questo le donne, quando denunciano, devono essere credute e protette da subito, perché mentre la giustizia è lenta, la violenza è molto, molto veloce.
Le donne possono fare il primo passo denunciando, ma poi non puoi dare a loro la responsabilità di salvarsi: sei tu che lo devi fare, Stato mio.
Però poi sono le donne che, dopo aver denunciato, devono nascondersi, scappare, andare nelle case rifugio, frequentare i centri antiviolenza – che Dio li benedica e lo Stato li sostenga –, cambiare identità e città. Ma perché? Perché a pagare una doppia pena è sempre la vittima e mai il carnefice?
Dovrebbero essere gli uomini violenti ad andare in un centro antiviolenza. Sei violento, e noi ti insegniamo a non esserlo più, ma in un posto chiuso, dove resti finché non impari. Scusa, eh, ma se c’è un leone libero in città, scappato dallo zoo, chi mettono in gabbia appena possibile? Il leone, o i cittadini che sono in pericolo? “
Una riflessione sempre attuale e necessaria, uno dei tanti spunti con cui si è concluso il primo incontro di “Sentieri di Comunità”, con la certezza che un seme è stato piantato, seppure in un terreno difficile e che la cittadinanza è vitale e reattiva e pronta, si spera, a innaffiarlo con amore; con la promessa di non lasciarsi soli e che i saluti della serata di ieri siano stati solo un arrivederci.