Sabato 19 gennaio presso la Biblioteca “Il Granaio” è stato presentato “Preferisco le stelle”, il sesto romanzo di Tommy Dibari, pubblicato a dicembre 2023 da Santelli editore. La presentazione del libro ha attinto a numerosi concetti psicologici, difatti lo scrittore, psicologo e autore televisivo barlettano ha condiviso il microfono con la sua amica-collega Francesca Romana Defidio, anche lei psicologa, guidando la conversazione con l’obiettivo, decisamente raggiunto, di smuovere qualche tassello nei presenti.
“Uno scrittore è un ladro gentile, – ha confessato l’autore durante la conferenza- ruba pezzi di storie e li riporta dentro l’amigdala, nell’archivio delle emozioni. Ci mette lì quelle immagini e poi le ripesca nel momento in cui si trova a comporre una parte di sé dentro un’opera.”
Tommy Dibari ha svelato così la genesi della sua ultima opera, “Preferisco le stelle”, realizzata a mo’ di puzzle, cui spunto nasce da una notizia di alcuni anni fa, letta distrattamente su un giornale: una bambina chiedeva di inviare le sue lettere in cielo, dalla sua mamma defunta; così, alcuni poliziotti aiutarono la piccola procurandole dei palloncini per facilitare il volo. O almeno così pare.
In verità, lo scrittore fatica a ricordare nitidamente quella storia. Questo perché tutti i dettagli (la città, il nome della bambina, la causa della morte, il contenuto delle lettere etc) sono assolutamente irrilevanti. Ciò che ha colpito la sua attenzione è stata un’unica, ma potente immagine: la volontà dei poliziotti di accogliere una richiesta ingenuamente irrazionale.
Ed ecco, da bravo “ladro gentile”, che l’autore ha utilizzato questa volontà come motore al romanzo, assegnandola al protagonista. Gli è bastata questa immagine per iniziare a pensare a Michele Lovero, un giovane ragazzo pugliese laureato in filosofia e lettere col sogno di insegnare. Il bando del concorso che lo separa dal suo obiettivo viene però continuamente rimandato. Il suo sogno si opacizza sempre di più, fino a quando non decide di ripiegare su un altro lavoro, su un altro bando: è così che Michele diventa poliziotto e viene spedito a Milano. Durante una notte di lavoro, riceve una chiamata da una bambina, Claretta, che ha composto il 113 con mente lucida e un chiaro obiettivo: ritrovare sua madre. Il suo papà le ha detto che si trova in cielo e lui certamente non mente. Da qualche parte, quindi, deve pur stare.
Qui, il taglio psicologico dell’opera dà vita a una sfera di riflessioni che ricadono sul lettore: cosa fare? Come rispondere alla bambina? Cosa dice di noi quella risposta?
Michele è perso, smarrito, ma poi “accade una cosa straordinaria, – ci spiega Dibari – il suo demone, che poi è la sua virtù, va a trovarlo e gli fa scoprire cosa che non immaginava nemmeno di avere. Il ruolo del dáimōn a livello psicologico è proprio quello: ti suggerisce, ti ricorda quello per cui sei venuto qui. È l’individuazione di Jung. Attraverso quella risposta a quella bambina Michele ha la possibilità di ritrovare quello che lui è”.
Il romanzo esorta ad avere la sensibilità di meravigliarsi ancora, di rompere la quarta parete della vita per riuscire a connetterci a quella parte di noi ancora bambina, a quel fanciullino, per citare Pascoli, che guarda la normalità con curiosità e sorpresa. Trovare meraviglia in un raggio di sole che attraversa il finestrino dell’auto, in un uccellino riparato tra i rami o in una sigaretta fumata a metà con qualcuno permette di entrare in una risonanza emotiva, capace di lasciare il bambino dentro di noi libero dalla morsa del nostro io dittatore.
Tutto ciò caratterizza Michele, che per la meraviglia che conserva, diventa un eroe involontario.
“Non abbiate paura di sentirvi confusi, disorientati, depistati… perché non c’è una regola da questo punto di vista. Forse l’unica cosa che dobbiamo ricordarci sono i diritti affermativi che impariamo in psicologia: il diritto a essere imperfetti, a essere bizzarri, a dire non lo so, a non ricattare ma soprattutto a non raccattare il consenso da parte degli altri e infine ad essere il solo giudice di sé stesso.”
Di seguito l’intervista con l’autore: