C’è una patologia ginecologica che accomuna, nel momento in cui scriviamo, circa 190 milioni di donne nel mondo e che nonostante questo, è ancora difficile da diagnosticare e soprattutto troppo spesso derubricata a “è normale avere dolore durante le mestruazioni”: stiamo parlando dell’endometriosi. Il 28 marzo, dal 2014, è la Giornata Mondiale dell’Endometriosi, istituita per accendere periodicamente l’attenzione su una patologia che può – agli stadi più avanzati – diventare fortemente invalidante fisicamente e molto impegnativa a livello psicologico, anche perché coinvolge moltissimi aspetti della vita delle donne che ne sono affette.
Tra le conseguenze più serie dell’endometriosi c’è l’infertilità o comunque una consistente difficoltà nel concepimento, che è spesso il campanello d’allarme che riesce a portare a una diagnosi definitiva, ma troppo spesso ancora, tardiva. Per avere un’idea concreta del fenomeno basti pensare che tra tutte le donne che incontrano difficoltà nel concepimento, tra il 30 e il 50 % soffrono di endometriosi. Un numero enorme, che solo in Italia coinvolge circa 3 milioni di donne (con diagnosi conclamata).
Una diagnosi però, che, come abbiamo anticipato, è spesso difficile e molto ritardata, anche a causa dei sintomi, riconducibili a tante altre patologie di carattere anche non ginecologico. Questo, unito a una conoscenza ancora scarsa da parte delle donne e a una formazione non sempre adeguatamente aggiornata degli specialisti, può fare la differenza. Troppo spesso, infatti, è proprio la difficoltà a restare incinte che spinge le donne ad approfondire quei sintomi che – fino a quel momento – erano sta scambiati per altro.
Ma cos’è l’endometriosi? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Paola Fiorella, ginecologa dell’Ospedale Mons. Dimiccoli di Barletta:
“l’endometriosi è una malattia ginecologica caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale, quello che, per capirci, si sfalda mensilmente con la mestruazione, che in questo caso si sviluppa all’esterno dello stesso, quindi o all’interno della struttura stessa dell’utero, quindi nel miometrio, in quel caso parliamo di adenomiosi, oppure può svilupparsi su organi pelvici come le ovaie, creando gli endometriomi, o sulle tube di Falloppio e peritoneo. Può anche estendersi, però, in altre parti del corpo.”
Quali sono i campanelli d’allarme?
“L’endometriosi presenta dei sintomi che sono molto variabili da persona a persona, tra cui dismenorrea, quindi il dolore pelvico durante il ciclo mestruale, dispareunia, dolore durante i rapporti sessuali, dischezia, dolore durante la defecazione, e anche disuria e stranguria, cioè bruciore e dolore durante la menzione, cicli mestruali abbondanti, irregolari e poi anche diarrea, stitichezza, gonfiore o nausea. I sintomi, quindi, possono essere molteplici, e spesso trarre in inganno”.
La diagnosi tardiva, oltre ad essere un problema a livello fisico per le donne che non sanno dare un nome al proprio disturbo, crea notevoli problemi psicologici, perché i sintomi incidono pesantemente in molte delle sfere più intime della vita personale e di coppia, ma anche perché – troppo spesso – vengono sminuiti, con ripercussioni psicologiche importanti. La difficoltà di concepimento o il non raggiungimento di una gravidanza a termine sono poi un dramma nella vita delle donne e delle coppie che desiderano diventare genitori.
Abbiamo chiesto quindi alla dottoressa Fiorella di spiegarci meglio perché è ancora così difficile arrivare a diagnosi certa per l’endometriosi:
“È difficile diagnosticarla per diversi motivi, proprio perché, come dicevo prima, i sintomi sono variabili e possono essere confusi – ad esempio – con sintomi del colon irritabile. Oppure perché a volte le pazienti sono asintomatiche o possono segnalare sintomi lievi, il che porta spesso e volentieri a ritardi nella diagnosi. Ancora, può dipendere dal fatto che gli esami diagnostici sono limitati, nel senso che l’esame più indicato è l’ecografia ginecologica, anche se non tutti sono specializzati nell’ecografia ginecologica dell’endometriosi. Un’altra tecnica diagnostica può essere la risonanza magnetica, che permette di rilevare la presenza di tessuto endometriale ectopico, però tendenzialmente l’esame più indicato rimane l’ecografia.”
Non arrendersi alla prima diagnosi quindi, ma anche chiedere un supporto psicologico, se necessario, e cercare di lavorare sul proprio benessere a tutto tondo. In questo senso, in occasione della Giornata Mondiale dell’Endometriosi, abbiamo scelto di approfondire questo tema anche dal punto di vista dell’alimentazione. Con l’aiuto della dottoressa Maria Cristiana Fiorentino, biologa nutrizionista, abbiamo provato a delineare delle linee guida utili nella prevenzione e nel benessere dei pazienti con endometriosi conclamata.
Dottoressa Fiorentino c’è un legame tra alimentazione ed endometriosi, e se sì, qual è?
“Come ormai è risaputo, l’alimentazione e lo stile di vita possono influenzare la presenza di infiammazioni nel corpo, modificare l’attività degli estrogeni cioè degli ormoni sessuali femminili, interferire con il ciclo mestruale. Tutti questi sono proprio i fattori che possono poi influire sul rischio di sviluppare endometriosi.”
Ci sono degli accorgimenti a livello di dieta (intesa come regime alimentare, non restrizione N.d.R.), che, se osservati quotidianamente, possono apportare benefici nei pazienti con endometriosi? “ Si, ci sono degli accorgimenti che possono apportare benefici in caso di endometriosi. È stato dimostrato, ad esempio, che la riduzione dei grassi alimentari e l’aumento delle fibre riducono le concentrazioni di estrogeni circolanti, suggerendo un potenziale beneficio per le persone affette da endometriosi, visto che si tratta di una malattia estrogeno-dipendente. In generale suggerisco di avere un consumo più elevato di: -alimenti antiossidanti contenuti in frutta, verdura e spezie; -alimenti antinfiammatori ricchi di omega 3 comprendenti pesce azzurro, frutta secca e semi oleosi; -verdure amare che stimolano la funzione epatica e la detossificazione come cicoria, rucola, radicchio, carciofi; -grassi saturi benefici per il microbiota (insieme dei batteri intestinali) come olio di cocco o il burro ghee; -latticini fermentati fatti in casa ricchi di batteri per riequilibrare il microbiota come il famoso Kefir.”
Un approccio olistico quindi, ma anche la consapevolezza di non essere sole. Per dare il nostro contributo completo in occasione della Giornata Mondiale dell’Endometriosi, abbiamo raccolto delle testimonianze, tutte reali, eppure opposte tra loro, e abbiamo scelto di condividerle – in forma anonima – affinché tutte le donne possano riconoscersi, magari convincersi a fare quella visita rimandata da tempo, o – per qualche minuto – sentirsi supportate in questa sfida difficile ma che può essere tenuta sotto controllo.
“Ho scoperto l’endometriosi quando avevo 23 anni per caso, dopo una serie di visite e indagini approfondite in ambiti non ginecologici. Frequentavo l’università e nella mia vita l’idea di un figlio è sempre stata presente. La fortuna ha voluto che – grazie al consiglio di un’amica dottoressa – io incontrassi la persona giusta, che ha sempre compreso il mio stato d’animo. Mi ha trattato da donna che ha vissuto per anni la paura che “la maledetta” potesse aumentare a tal punto da richiedere un intervento o che potesse propagarsi ad altri organi. L’endometriosi è qualcosa che non si vede, ma che vive nella testa e nel cuore di chi la vive. Ha varie fasi: ci sono mesi di dolori improvvisi e mesi in cui grazie alla pillola si tiene a bada. È qualcosa con cui condividere la propria vita ed è da tanti sottovalutata o banalizzata come semplici dolori mestruali. Per fortuna i figli sono arrivati, ma lei è sempre lì che si risveglia tutte le volte che smetto di prendere la pillola.”
“Io ho l’endometriosi. L’ho scoperto a 40 anni perché non riuscivo a rimanere incinta e si formavano spesso delle cisti ovariche che di volta in volta facevo riassorbire con cicli di pillola anticoncezionale. L’ultima volta la mia ginecologa ha consigliato di asportarle chirurgicamente e in quella sede hanno appurato che si trattava di cisti endometriosiche. Dopo l’intervento il chirurgo mi ha detto che avevo al massimo 6 mesi per restare “pulita” e provare a rimanere incinta e… dopo 4 mesi sono rimasta incinta della mia cuoricina che, non a caso si chiama Ludovica che vuol dire “guerriera valorosa”.”
C’è poi un’ultima testimonianza, che apporta un valore non solo emotivo ma anche civile e legale a quanto detto fin qui. È la storia di una donna “spesso apostrofata come quella che ‘’si ammalava ogni mese’’, ero ‘’l’unica donna col ciclo’’, ‘’ sta sempre male’’. Oggi l’Inps mi riconosce, con qualche anno di scarto, un’invalidità che profuma di vittoria e di coraggio. Perché l’endometriosi, la malattia cronica con la quale ho combattuto per oltre 20 anni, non è solo infertilità, dolori mestruali lancinanti, interventi chirurgici e ricoveri (6 in tutto), continue emorragie. L’endometriosi è, per chi ne è affetto, vergogna, senso di colpa, è la consapevolezza di non essere creduta fino in fondo, è assenza di merito, è sospetto. Queste righe – e la mia invalidità – sono per chi non ha creduto, per chi mi ha penalizzato, per chi, nelle mie assenze per malattia, ha spesso voluto vedere altro.”
Una donna che non si è fermata alla diagnosi ma ha portato l’endometriosi in tribunale, rivendicando e infine ottenendo, una sentenza che possiamo definire storica: “definitivamente pronunciando, dichiara sussistere in capo alla parte ricorrente il requisito sanitario relativo allo status di handicap in condizione di gravità…”.
Una sentenza che ufficializza definitivamente quello che in cuor suo, ogni donna sa già fin troppo bene e cioè che no “Non è normale, che faccia così male”.