Corbo, a Barletta per parlare del suo libro intervista “Strage di Capaci – paradossi, emozioni e altre dimenticanze”, ha incontrato prima gli studenti del Liceo Cafiero, intervistato dalla giornalista Antonella Filannino, e poi in serata Carmine di Paola, penalista e Roberto Straniero, giornalista, con i quali, dal palco del Teatro Curci, ha dato vita a una conversazione che non ha fatto sconti a nessuno.
Alla presenza della Prefetta Rosanna Riflesso, del vice Questore della BAT Marco De Nunzio, del Comandante Provinciale della GdF Pierluca Cassano, e di tante altre cariche istituzionali come il Sindaco Cannito e diversi assessori, Corbo non ha fatto mistero, neanche per un istante, della sua convinzione che Giovanni Falcone sia stato ucciso dalla mafia, certo, materialmente, ma con la connivenza dello Stato. Non tutto, ma quella parte marcia di cui ormai conosciamo l’esistenza, seppure solo marginalmente, e che non possiamo più ignorare.
La tenacia e la convinzione di Corbo non devono essere piaciute però, al ricco parterre istituzionale, che un attimo prima della consegna delle targhe e dei ringraziamenti, si è alzato in blocco e ha abbandonato il teatro con una fretta inusuale, lasciando dietro di sé un mormorio di rabbia e imbarazzo.
Il gesto non è ovviamente passato inosservato all’ospite d’onore, che ha subito impugnato il microfono e pronunciato la sua sentenza amara “Questa sera mi sono fatto dei nuovi nemici”.
Non era a qui per vendere il suo libro Angelo Corbo. Non agli studenti almeno, ma forse neanche agli adulti. Angelo Corbo era qui, come in tutti gli altri luoghi in cui è stato e in cui sarà, perché vuole soprattutto parlare: di mafia, di Stato, di vita e di morte. Delle vittime, e del futuro. Corbo vuole raccontare la sua storia, che è anche un po’ la nostra, perché quella storia vuole provare a cambiarla. Perché a distanza di quasi trentadue anni vuole ancora, disperatamente, trovare la verità.
Per chiunque fosse già nato nel 1992, Angelo Corbo rappresenta una testimonianza tangibile ed enorme di uno di quei momenti, il 23 maggio, che diventano, loro malgrado, una pietra miliare. La Strage di Capaci è uno di questi, uno di quegli istanti a cui ognuno di noi lega un ricordo privato, che si fonde con quello pubblico, per creare quella strana memoria collettiva che si plasma sulla scia degli eventi epocali, quelli che segnano un nuovo corso della storia, da lì in poi.
Nella mattinata del 12 marzo l’auditorium del Liceo Scientifico Cafiero di Barletta ha ospitato un doppio incontro con un uomo che è sì un uomo, ma è anche un simbolo, e quel simbolo, grazie tutti gli studenti, i docenti, i giornalisti e chiunque abbia avuto la volontà di ascoltarlo e capirlo, forse oggi si sentirà un po’ meno solo nel suo dolore e nel suo ruolo.
“Voi ragazzi siete la mia personale medicina” dice agli studenti “quella pillola che mi aiuta a vivere con i diavoli che ho in corpo”, confessa senza pudore. È un uomo che non fa mistero della sofferenza Corbo, della delusione anche, e del tormento che ancora, a distanza di trentadue anni da quel giorno fatale, non gli da pace. Ma è anche un uomo che ha ancora speranza nel futuro, che ancora crede in quella che era la sua missione, ovvero essere un uomo al servizio dello Stato.
La vita non è stata gentile con Angelo Corbo, palermitano, agente di Polizia che il 23 maggio del 1992 era sulla seconda macchina di scorta a Giovanni Falcone. Essere un superstite per lui non è stata una gentilezza, infatti, bensì una condanna: alla domanda posta dai ragazzi su come abbia fatto a convivere con un’esperienza così drammatica ha risposto amareggiato: “a dispetto di quanto si possa pensare, l’attentato non è stato l’evento più drammatico della mia vita. Drammatico è stato tutto quello che è venuto dopo. Perché il rischio è “contemplato”, fa parte del mestiere, ma l’abbandono dei sopravvissuti che ti fa vivere tutta la vita col senso di colpa è più drammatico. Le vittime si sentiranno sempre dei colpevoli perché ci sarà sempre qualcuno che le additerà come tali”
Abbiamo rivolto ad Angelo Corbo una sola domanda, comprendendo la stanchezza e la fatica di rivivere continuamente lo stesso giorno, come in un’inquietante e drammatico giorno della marmotta.
Ha detto ai ragazzi che loro sono, per lei, una medicina contro i demoni che ancora la accompagnano. Quegli stessi demoni, se vogliamo, accompagnano ancora anche lo Stato, che non vuole o non riesce a dare e a darsi le risposte a tutte le domande ancora aperte. Pensiamo all’agenda rossa di Borsellino, o alla valigetta di Falcone che ha ricordato lei… io le chiedo allora, lei prima di tutto, e poi lo Stato, riuscirete a fare pace con quei demoni prima o poi?
“Non è facile risponderle, io dico sempre che in me ci sono tre persone: c’è l’ex appartenente alle Forze dell’Ordine, che è consapevole che questi demoni verranno sconfitti e che prima o poi usciranno fuori e verranno annientati. Poi c’è il cittadino con tutti, che è consapevole che questi demoni li abbiamo dentro, ma che non ha la certezza, ma solo la speranza che possano uscire fuori. Però purtroppo c’è anche la vittima, la vittima ha bisogno di quella “pillola” giornaliera, o quasi, ma che ha anche purtroppo la certezza che quei demoni resteranno sempre dentro di noi, perché l’ho detto velatamente forse, ma non troppo, che non c’è la volontà di scoprire i veri mandanti, quelli che fanno affari con la mafia. Perché è facile dire chi ha schiacciato il pulsantino a Capaci, chi ha dato il benestare per farlo in quel territorio. Ma chi sono i veri mandanti? Chi ha fatto sparire la ventiquattrore di Falcone, l’Agenda Rossa, il rullino fotografico scattato a Capaci, Quindi la mia lotta è questa, far aprire gli occhi alle persone che mi ascoltano, e gridare che vogliamo la verità.”
Davanti ai ragazzi, ipnotizzati dal suo racconto amaro e quasi pudici davanti al suo dolore, Angelo Corbo è un fiume in piena, non lascia niente di non detto, anzi, alimenta domande, fa davvero venire voglia di verità. Così come l’ha fatto l’Ispettore Leonardo Madera che ricevendo la sua targa dai ragazzi, in lacrime ma fiero della sua divisa, ha detto “Lo stato siamo noi, lo Stato siete voi”. Ed è un peccato, che nella stessa giornata, le due facce della stessa medaglia chiamata Forze dell’Ordine abbiano reagito in modi così diametralmente opposti.
Da un lato Madera, fiero del suo ruolo, del suo impegno, commosso ma animato da rinnovato amore per quella divisa e per quello Stato, dall’altro le istituzioni ottuse, incapaci di mettersi in ascolto, che perdono un’occasione preziosa per fare loro il primo passo per distruggere quei demoni e lasciando invece, ancora una volta, Corbo da solo davanti al “sistema”. Per fortuna c’è il pubblico, i suoi ragazzi, le famiglie, che mormora “vergogna”, ma intanto stringe Corbo in un abbraccio che è uno scudo, e quello scudo si, siamo noi.