“Inammissibilità totale” dei ricorsi presentati da quattro persone, due uomini e due donne, tutti componenti dello stesso nucleo familiare, condannati dalla Corte d’assise d’Appello di Bari per riduzione e mantenimento in stato di servitù, induzione e sfruttamento della prostituzione minorile e sequestro di persona ai danni di ragazze minorenni. Lo ha deciso il 7 giugno scorso la Corte di Cassazione, confermando le condanne.
I quattro furono fermati nel dicembre 2018 dagli agenti della squadra mobile di Foggia, nell’ambito di un’indagine avviata a seguito del pestaggio di una ragazzina di etnia rom, fuggita dal campo nomadi di via San Severo. Incinta al settimo mese, la ragazza era stata picchiata con calci e pugni fino a perdere il bambino. A quel punto la vittima decise di denunciare, riferendo agli investigatori che era stata costretta a prostituirsi nonostante fosse incinta e che le era stata prospettata anche la possibilità di vendere il suo bambino per 28 mila euro.
Una denuncia che portò alla scoperta di una situazione agghiacciante: ragazze ancora minorenni, provenienti da contesti famigliari disagiati, venivano portate con l’inganno nel campo nomadi. Venivano poi rinchiuse in baracche, bloccate dall’esterno con una catena e un lucchetto, picchiate e costrette a prostituirsi per 8 ore al giorno in cambio di un pacchetto di sigarette. Si trattava di ragazze straniere, private del cellulare e dei documenti, quindi impossibilitate a chiedere aiuto. I quattro responsabili sono stati condannati anche a risarcire l’associazione Gens nova, costituita parte civile nel processo.