Oggi, 17 agosto, è la giornata della sensibilizzazione del gatto nero e la sua stessa esistenza denota la necessità di un riscatto sociale a favore di questo animale. Soprattutto, la storia che stiamo per raccontare deve portarci a riflettere su quanto sia ancora influenzabile il nostro pensiero, in un mondo che si considera lontano dalle credenze medievali.
Lo scenario tipico legato all’immaginario del gatto nero è nei racconto di chi, in una giornata cominciata col piede storto, quasi si convince che non potrebbe andare peggio di così quando, nel tragitto verso il lavoro…« tac – esclama– un gatto nero mi ha attraversato la strada». E così, la giornata è definitivamente condannata alla sventura dall’incontro col felino porta-iella.
L’ associazione tra gatto nero e sfortuna ha ovviamente origini culturali e storiche lontane, giunta sino ai nostri tempi anche “grazie” alla fruizione di opere cinematografiche e letterarie, che hanno perpetuato l’allegoria del gatto nero come simbolo del male.
Basti pensare al racconto “Il gatto (nero) del diavolo” di Stephen King (1962), o all’episodio “Black Cat” del film “I racconti del terrore” (1997), o a Behemoth, uno dei demoni del romanzo-capolavoro di Bulgakov “Il Maestro e Margherita”(1967), che guarda caso è proprio un obeso gatto nero (ma si potrebbe continuare l’elenco anche con esempi ben più innocenti e recenti come “Sabrina, vita da strega”).
In effetti, gli occhi brillanti e taglienti tipici dei gatti, in netto contrasto con un profondo pelo scuro, creano una contrapposizione magnetica che facilmente diventa spettrale se immersa nel buio della notte. Il comportamento felino poi, schivo e imprevedibile per antonomasia, ha certamente contribuito a creare diffidenza e senso di cupezza e mistero.
I fattori estetici sono all’origine di una prima concreta spiegazione che si rifà all’epoca medievale: probabilmente i cavalli che trainavano le carrozze si spaventavano alla vista dell’attraversamento del rapido felino, quando nel cuore della notte ne vedevano solo gli occhi. Imbizzarrendosi i cavalli, si creava una tale confusione e un tale scompiglio all’interno delle carrozze stesse, da provocare risentimento da parte dei passeggeri verso quel piccolo animale portatore di malasorte.
Un secondo motivo del gatto malvagio potrebbe risiedere invece in una spiegazione, sempre di manifattura medievale, notevolmente più artefatta: l’associazione sarebbe nata nell’immaginario della stregoneria, semplicemente perché la magia nera ben si sposava con una creatura dall’aspetto vagamente sinistro e dalle abitudini notturne. Il nero rappresenta il lutto, il buio l’occulto e la luce degli occhi chiari sembra nascondere una certa furbizia ingannatrice e malvagia.
Secondo una famosa versione dei fatti, smentita da molti storici, queste ragioni sarebbero bastate a giustificare azioni crudeli e scellerate a sfavore del micio. Addirittura, la credenza popolare del gatto nero e demoniaco sarebbe stata così forte da provocare un intervento della Chiesa.
Nel dettaglio, il primo sarebbe stato Papa Gregorio IX, che nel 1233, durante una campagna contro la stregoneria e l’eresia, avrebbe emanato una bolla nella quale avrebbe ribattezzato il gatto nero come aiutante del male e compagno fedelissimo delle streghe, aprendo di fatto uno sterminio spietato. Dopotutto, in un’epoca in cui la superstizione di massa annebbiava le menti e bruciava vive giovani donne al rogo poiché definite streghe, poco sorprendono atti di crudeltà nei confronti di animali indifesi.
Sarebbe avvenuta una persecuzione crudele, che avrebbe addirittura aperto le porte alla più letale epidemia della storia, chiamata (ironicamente col senno di poi) peste nera. La drastica diminuzione del numero dei principali predatori dei topi avrebbe causato una proliferazione degli stessi e delle pulci, le vere portatrici del batterio Yersinia pestis, che così sarebbe giunto facilmente all’uomo.
Secondo quest’ipotesi il karma avrebbe sicuramente fatto il suo corso.
Chi è fonte dei suoi mali pianga se stesso, dunque, in baffo alla sfiga.
Eppure, come già accennato, questo racconto fatto di alti e bassi, è stato smentito da molti storici, tra cui il noto Alessandro Barbero, che ospite della puntata di Superquark del 27/07/2022, analizzò un affresco datato 1400 ( l’Ultima Cena di Cosimo Rosselli, in cui è presente un gatto) per radere al suolo l’enorme fake news:
« Io stasera vorrei provare a smentire un falso storico, che si sente ancora troppo spesso, secondo cui nel Medioevo i gatti sarebbe stati perseguitati e sterminati perché associati al demonio. In quotidiani nazionali, ma anche nelle pagine scientifiche, continuano ad apparire articoli che narrano il massacro dei gatti.
Basta controllare i testi delle bolle papali, che ci sono tutte. Nessuno si è mai sognato di sterminarli, anzi erano i benvenuti nei monasteri.»
L’intervento poi continua ironicamente: «A me colpisce che queste frottole sul massacro dei gatti si trovano su internet proprio nei siti degli amanti dei gatti. Queste persone che voglion bene ai gatti hanno piacere nell’inventare morbosamente queste storie di massacri, vorrei esortarli a smettere.»
Tra ricostruzioni storiche fallaci e pregiudizi ancora attuali l’enigma sull’origine del mito del gatto nero resta fitto.
La storia del gatto, però non è di certo solo connessa alla sfortuna; anzi il presunto parossismo medievale risulta ancora più insensato se si pensa al credo dell’antico Egitto, dove, com’è noto, ogni gatto era ritenuto sacro e veniva venerato indipendentemente dal colore. Il gatto era sacro al Sole e a Osiride mentre la gatta alla Luna e a Iside, adorato per la sua indole di predatore nei confronti di roditori e insetti e per la sua abilità nell’uccidere serpenti velenosi, quali i cobra. Una delle più importanti ed emblematiche divinità nel credo egiziano era la dea Bastet, avente corpo di donna e testa di gatta nera.
Tra le culture affascinate dal gatto vi sono soprattutto quelle asiatiche, dove sono stati innalzati veri e propri luoghi di culto. Due dei più famosi sono in Libano e in Giappone, rispettivamente il Tempio dei Gatti nel santuario di Ain Al-Assad e il santuario shintoista Gotoku-ji. Quest’ultimo è dedicato a Meneki-neko, che secondo una leggenda giapponese era il gattino bianco e nero di un anziano monaco buddista, divenuto poi “il gatto della fortuna” poiché un giorno salvò la vita a un samurai: il guerriero era in riposo non lontano dal tempio e il gatto, notandolo, gli fece cenno di avvicinarsi con la zampina, evitando così che quest’ultimo venisse colpito dal fulmine che si imbatté pochi secondi dopo sull’albero sotto il quale il soldato era sdraiato.
Da quest’ultimo nasce il portafortuna più famoso della cultura nipponica: una statua, spesso di piccole dimensioni, raffigurante un gatto con una zampina alzata, tendenzialmente mobile.
Tornando alla produzione cinematografica, è certamente da menzionare il recente “Luck” (2022), film d’animazione per bambini che, accortosi del nome infangato del felino, ne capovolge le dicerie raccontando la storia di un gatto nero parlante che porta fortuna.
Curiosità: se in Italia il gatto nero che attraversa la strada è associato da alcuni alla cattiva sorte sempre e comunque, è interessante scoprire come in altri paesi europei la comparsa felina in strada porti fortuna o sfortuna a seconda della direzione del micio.
In genere, in Germania si pensa che se un gatto nero attraversa la strada da destra a sinistra porti sfortuna; al contrario, da sinistra a destra, porterà fortuna. In Gran Bretagna è esattamente l’opposto: sfortuna da sinistra verso destra e fortuna da destra verso sinistra.
Insomma, ognuno scelga quello in cui credere, l’importante è mantenere, per citare una famosa serie TV, giù le mani dai gatti!