Direttore Antonio Sarcina

APP

Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne

Cronaca nera e sentire comune: il patriarcato (purtroppo) è vivo e uccide in mezzo a noi

Scrivere in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, in questo momento storico, è una responsabilità enorme. Lo è ancora di più essendo una donna, perché troppo spesso si dà per scontato che le donne abbiano la soluzione al problema della violenza di genere; che sappiano cosa vada fatto per estirpare l’eredità patriarcale che tutte e tutti, in un modo o nell’altro, ci portiamo dentro. La verità, però, è che nessuno ha ancora sviluppato la formula perfetta affinché certe tragedie non avvengano più; tutto quello che abbiamo, forse, sono gli strumenti per avviare un ragionamento.

La storia di Giulia Cecchettin ha colpito tutti in un modo completamente diverso rispetto a tutte le altre storie. Ci ha colpito nel profondo non solo per la sua giovane età, perché purtroppo non è la prima vittima di femminicidio così giovane, ma per il fatto che è avvenuta in un contesto che è familiare alla maggior parte di noi.

È avvenuta tra famiglie che non versano in difficoltà economiche, tra ragazzi prossimi alla laurea; cresciuti, quindi, in famiglie in cui l’istruzione è considerata un valore. Nuclei apparentemente normali, dove c’è un’affettività sana, un’educazione allo sport, alla socialità, famiglie dove, fino a prova contraria, si sono fatte tutte le cose a modo, così come si richiede a dei bravi genitori. Il femminicidio di Giulia Cecchettin è avvenuto anche in una di quelle province del nord che per un bias geo-economico è considerato “perbene” … eppure.

Siamo stati investiti da questo caso perché, se spesso i femminicidi avvengono in un contesto di disagio sociale, economico, familiare, questa tragedia ha sparigliato le carte, mettendoci davanti al fatto compiuto che il seme all’origine della violenza di genere è potenzialmente in ognuna delle nostre famiglie “sane”.

Questo crimine, grazie anche al coraggio di Elena Cecchettin, sorella maggiore di Giulia, ha chiamato alle armi tutte e tutti. Alle armi della ribellione a una cultura che ormai ci va stretta. Alle armi dell’educazione, dell’ascolto, dell’empatia. Elena ci sta chiedendo a gran voce di non lasciare che la morte di sua sorella diventi l’ennesimo dato di una statistica che ci vede sconfitte in partenza. E forse proprio perché la voce di Elena parla a una platea che ha orecchie per intendere, il suo appello potrebbe non cadere nel vuoto. Elena ha chiesto, per sua sorella Giulia, di bruciare tutto: incendiare le coscienze, bruciare decenni di cultura sbagliata mai superati davvero, ma solo ben nascosti sotto i tappeti battuti sui balconi, o lavati a vapore dalle colf nei salotti buoni.

È un dato di fatto che la cultura che porta alla violenza di genere, quando non c’è un disturbo mentale conclamato, è radicata. La cultura patriarcale, sessista, permea la nostra vita quotidiana, e negarlo, ormai, è davvero non voler vedere né il dito né la Luna. Questo non significa che tutti gli uomini sono dei potenziali carnefici o che tutte le donne vivono sotto scacco di un uomo, significa però che tutte e tutti sappiamo benissimo da dove nasce tutto questo.

Avete mai dato per scontato che la vostra fidanzata, compagna o moglie sapesse fare una lavatrice, salvo poi prenderla in giro perché magari non è così? Avete criticato ripetutamente la sua guida, insistendo a tal punto da farle chiudere la patente in un cassetto “perché tanto, a cosa ti serve, ti accompagno io”? O magari sapete benissimo che la vostra collega parigrado guadagna il 15% in meno di voi e lo avete sempre considerato normale. Queste sono tutte manifestazioni ordinarie della cultura sessista di cui siamo impregnati, e siamo abbastanza sicuri che vi siano molto più familiari di quanto abbiate pensato all’inizio.

Il 25 novembre è la Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne, e mentre il governo si affretta a presentare una proposta di legge urgente per introdurre incontri educativi e di sensibilizzazione nelle aule scolastiche, la Lega si scaglia contro la possibilità di portare a scuola anche l’educazione sessuale, riportando il dibattito indietro di decenni.

L’educazione sessuale implica un’educazione al consenso, che è alla base di un rapporto sano con l’altro; implica – anche – il superamento di barriere religiose, di stereotipi, delle convenzioni culturali per cui si ritiene che una donna debba essere sempre a disposizione e che il suo piacere sia una concessione, o comunque subordinato a quello del partner. Educare alla sessualità significa educare all’affettività ma anche ad avere rapporti consapevoli e sicuri. Definire quindi l’educazione sessuale una nefandezza, così come ha fatto un esponente dello stesso partito cui appartiene proprio il Ministro dell’Educazione, significa relegarla ancora, nel 2023, a tabù: considerarla una cosa sporca e di cui ancora non si può parlare.

Significa, inoltre, ignorare l’elefante nella stanza, ovvero il fatto che i ragazzi si approcciano al sesso sempre prima, con una preparazione ancora basata sul passaparola o, peggio, sul web, e con una pressione del branco sconosciuta alle generazioni precedenti. Negare l’importanza di educare bambini e ragazzi verso una sessualità sana significa ammettere in modo implicito proprio l’attaccamento a quella cultura che tanto si cerca di estirpare.

Declinare al femminile ruoli e mestieri, consentire a madri e padri uguali tempi di congedo in occasione di nascita o adozione di un figlio, educare bambini e ragazzi all’empatia e lasciare che familiarizzino davvero con le proprie emozioni, abbattere il muro di omertà che nasconde tutto ciò che riguarda il disagio psicologico e la salute mentale, sono tutti passaggi ormai impossibili da bypassare, se si vuole, davvero, provare a formare generazioni alla pari.

I casi di cronaca sempre presenti nelle prima pagine hanno inevitabilmente portato la lotta contro la violenza di genere su un piano estremo. Che sia in corso una sorta di guerra tra i sessi è innegabile, seppure involontaria; come in molte relazioni, infatti, forse anche quella universale tra uomini e donne doveva passare da uno scontro frontale prima di approdare alla fase di ricostruzione. L’auspicio però, è che passata la battaglia si giunga finalmente alle trattative di pace, in cui gli uomini e le donne siedano a un tavolo rotondo in cui non ci sono né vincitori né vinti, ma solo esseri umani capaci di accettare l’altro nella propria interezza, facendo tesoro di ogni fragilità, prima ancora dei punti di forza.

Articolista di barlettaweb24, il primo quotidiano on line del gruppo, giovane e innovativo, si pone l’obiettivo di coinvolgere i lettori e renderli attivi e partecipi sul proprio territorio, attraverso notizie costantemente aggiornate e approfondite.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Condividi su:

Le più lette

Altri articoli
Correlati

Giornata mondiale Filosofia, a Barletta evento “Ponte tra Oriente e Occidente”

In occasione della Giornata Mondiale della Filosofia, presso la...

Lavori in via Alvisi, M5S: “Valutare se renderanno difficoltoso il passaggio ai mezzi di soccorso”

"Apprendiamo dalle pagine social del Comune di Barletta che...

Educazione finanziaria nelle scuole, un incontro all’ITET “Cassandro Fermi Nervi”

Da quest'anno l'Educazione finanziaria è materia di studio obbligatoria...