Il 6 febbraio è la Giornata Internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, una pratica pericolosa e cruenta tutt’altro che superata, volta a rendere le donne sottomesse, docili e remissive. Frutto di retaggi religiosi e culturali ancora molto vitali in paesi come l’Africa, l’Indonesia, la Malesia, ma anche in alcune regioni mediorientali, e in piccole comunità del Sud America, la consuetudine delle mutilazioni genitali è, ancora oggi, causa di dolori e traumi inenarrabili per tante, troppo donne nel mondo.
Se fino a qualche decennio fa questi interventi erano circoscritti geograficamente ai paesi in cui sono culturalmente radicati, da diverso
tempo ormai il contrasto alle mutilazioni genitali femminili riguarda anche tutti i paesi in cui quelle popolazioni sono emigrate o emigrano tuttora.
Dei tanti modi in cui una comunità può vessare e manipolare le donne, la pratica delle mutilazioni genitali è probabilmente ai primi posti per crudeltà e gravità delle conseguenze cui le bambine e le giovani donne cui vengono praticate sono esposte. In primo luogo, si tratta di interventi invasivi e inutili, perché vengono modificate e asportate parti sane e vitali dei tessuti e degli organi genitali femminili; in questo modo si compromette per sempre non solo la vita sessuale della donna, che nel migliore dei casi non proverà più piacere durante i rapporti, ma si rischiano gravi conseguenze anche per la sua salute, fisica e mentale.
Le mutilazioni genitali femminili, infatti, espongono le donne che vi sono sottoposte a problematiche igienico sanitarie non indifferenti: corrono il rischio concreto di contrarre infezioni più o meno aggressive, di dissanguarsi e, nei casi più drammatici, di perdere la vita.
Se le pratiche in sé risultano aberranti, la cosa più sconfortante è che nella maggior parte di queste culture, sono le stesse donne più anziane a portare avanti questa pratica disumana: chi osa ribellarsi viene infatti messa ai margini della società e ripudiata dall’intera comunità, con tutte le conseguenze sociali ed economiche che questo comporta.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno siano milioni le bambine a rischio di subire mutilazioni, per questo, negli anni, tutta la comunità internazionale si è mobilitata per contrastarle. Sulla scia di un importante discorso tenuto da Stella Obasanjo, first lady della Nigeria, il 6 febbraio del 2003, l’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata Mondiale Contro le Mutilazioni Genitali Femminili, fissando la data proprio nella ricorrenza di quel discorso.
Da allora, al grido di “tolleranza zero”, moltissimi paesi di tutto il mondo hanno avviato progetti di educazione e sensibilizzazione su questo tema che tocca così tanti aspetti della femminilità da essere a dir poco disumanizzante. Che una comunità disponga a proprio piacimento del corpo delle donne che a quella stessa comunità appartengono, attaccando irrimediabilmente gli aspetti più intimi della loro vita, è svilente e profondamente sbagliato; non solo per quelle società che ancora nel 2024 avallano questi rituali, ma anche per tutto il resto del mondo.
Uomini e donne uniti, hanno quindi, il preciso dovere di sradicare la pratica delle mutilazioni genitali femminili ovunque sopravviva, con coraggio e determinazione, affinché nessuna bambina debba più subire un tale abuso e nessuna donna sia più costretta a convivere con quest’ombra pesante sull’anima.