Ammazzate, stuprate, discriminate. Sottovalutate. La nostra Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne sarà senza retorica quest’anno perché, in cuor nostro, speravamo sarebbe stata diversa.
Dall’inizio dell’anno sono già nove le donne vittime di femminicidio e mentre l’eco della rabbia e della protesta innescate dalla morte di Giulia Cecchettin ancora ci rimbomba nelle orecchie, questo dato suona come le campane a morto, a spegnere ogni aspettativa di salvezza.
Non va meglio sul fronte istituzioni e welfare: là dove una donna Capo di Governo poteva far ben sperare, con un po’ di ingenuità, ecco invece fiorire misure e proposte conservatrici e svilenti, che premiano le plurimamme nascondendo le cause della denatalità sotto il tappeto, come la polvere nei giorni di festa.
Bonus maggiorati e agevolazioni per chi ha più di due figli ma silenzio tombale sul perché troppe donne (e uomini) rimandano la genitorialità e si limitano al figlio unico.
Per fare una variazione costruttiva sul tema, ad esempio, sarebbe utile chiedersi come mai nel 2024 ancora ragioniamo in termini di “Bonus Mamme” anziché Bonus Famiglie, se proprio si vuole insistere su misure di sostegno e non di sviluppo; rimuovendo nuovamente i padri o aspiranti tali dal dibattito.
Non solo dal ruolo genitoriale, ancora potenziale, ma anche da quello prettamente biologico, delegando la programmazione e la responsabilità di una gravidanza e di una nascita esclusivamente alle madri, come se il contributo paterno fosse un elemento trascurabile. Un controsenso, se pensiamo al veto quasi pari a un esorcismo posto su qualsiasi possibilità nostrana di famiglia monogenitoriale.
Un baco atavico in Italia, che si annida e prolifera in così tanti aspetti della nostra vita da essere ormai un animale domestico, che nutriamo, amiamo e cresciamo al pari dell’agognata prole, se c’è. Un baco infestante, che per anni ci è stato presentato con il nome fuorviante di “accudimento” e che invece, oggi, si presenta piuttosto come una zavorra che limita le donne intrappolandole in un labirinto di difficoltà, convenzioni e luoghi comuni.
A completare il quadro deprimente della nostra società c’è poi un altro campo da gioco dove il patriarcato fa grande sfoggio di sé: il mondo del lavoro. Un gioco in cui, tanto per mettere in chiaro le cose, le donne guadagnano il 5% in meno degli uomini, a parità di mansione. Come se non bastasse partire già con una penalità, non dobbiamo dimenticare selezioni e colloqui che discriminano in base al genere, all’età, all’ambizione di maternità (ma non di paternità, ricordiamolo sempre), e ambienti di lavoro ancora troppo spesso costruiti e pensati per gli uomini.
Oggi, 8 marzo 2024, Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne, appare ormai evidente che è tempo di agire, che non possiamo più permetterci di rimandare una riflessione spietata su quale presente, prima ancora che futuro, stiamo offrendo alle donne di oggi, con la consapevolezza che senza di loro non ci saranno donne nel nostro domani. Occorre guardare in faccia quel finto progresso che da troppo tempo propiniamo al resto del mondo, gridare a gran voce che il pink washing non basta più e fare i conti col fatto che non siamo più disposte a tenere Baby nell’angolo, lusingandola con un rametto di mimosa.