Spostarsi verso nuove destinazioni, verso condizioni di lavoro migliori o opportunità diverse è nella natura dell’uomo da sempre. Che siano spinti dalla ricerca del nuovo o di altre prospettive di vita, gli uomini migrano, sin dalla loro apparizione sulla terra. Nel corso degli anni però, le modalità di queste migrazioni, sono cambiate e i numeri, con l’aumentare della popolazione mondiale, sono cresciuti in modo considerevole. Attualmente si stima che nel mondo ci siano circa 280 milioni di persone che vivono in un luogo diverso da quello in cui sono nati, e che l’80% di loro si sia spostato in modo sicuro e legale. In occasione della Giornata Internazionale dei Migranti però, vogliamo dedicare una riflessione a quel restante 20%, che insegue una vita migliore rischiando la vita.
La data del 18 dicembre è stata scelta per ricordare il giorno in cui, nel 1990, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, un documento fortemente voluto dall’ONU ma che ha avuto una gestazione lunga e tortuosa, iniziata nel lontano 1979, a seguito di eventi accaduti anni prima.
Era il 1972 quando un camion che ufficialmente trasportava macchine da cucire si schianta nel tunnel del Monte Bianco e 28 lavoratori del Mali perdono la vita nell’impatto. I migranti stavano viaggiando clandestinamente ed erano diretti in Francia alla ricerca di un futuro migliore. La notizia raggiunse le Nazioni Unite che avviarono un percorso di accordi e diplomazia tra stati di partenza e stati di arrivo dei flussi, con l’intento di scongiurare eventi simili; ma il percorso per arrivare alla stesura della convenzione si è rivelato più difficile del previsto.
Nell’arco del tempo, infatti, sono cambiati gli interessi, i numeri, e soprattutto gli assetti internazionali, e nonostante i buoni propositi, sappiamo bene che le tragedie legate alle migrazioni sono all’ordine del giorno. Allo stato attuale la convenzione, entrata ufficialmente in vigore nel 2003, è stata ratificata da poco più di 40 stati, quasi tutti “d’origine” (l’Italia, ad esempio, è tra quelli che ancora non l’hanno introdotta), a dimostrazione che l’entusiasmo iniziale verso una gestione più etica e collettiva delle migrazioni ha lasciato il posto ad un approccio più nazionale e in molti casi, nazionalista.
Le percentuali citate all’inizio devono farci riflettere sull’importanza del nascere dalla parte “giusta” del mondo, e su quanto, spesso, questo faccia la differenza. L’80% di migranti che si spostano in modo sicuro lo fanno perché originari di stati la cui sovranità, cioè la possibilità di esercitare il loro potere in modo autonomo, indipendente e autorevole, è riconosciuta dalla comunità internazionale e perché questo significa che hanno un passaporto che glielo permette.
Vi siete mai chiesti perché tutti quegli uomini e donne si mettono in marcia, attraversano deserti, guerre, monti e mari, spesso subendo torture e abusi, anziché prendere un aereo? Le risposte che molti esponenti politici e leader mondiali hanno cercato di far passare per anni sono principalmente due: mancanza di soldi o intenzione di delinquere.
La verità però, è che spesso queste persone sono state private dei propri documenti, o non li hanno mai avuti perché la situazione politica delle loro terre di origine non permette di emettere documenti, o se lo fa, spesso si tratta di documenti inutili per spostamenti internazionali. Allo stesso modo, è vero che spesso quelle famiglie versano in condizioni economiche difficili, ma è vero anche che i viaggi della speranza che affrontano costano, costano soldi, veri e tanti, che basterebbero per un biglietto aereo, se gli fosse concesso di raggiungere un aeroporto civile e acquistarne. A questo si aggiunge la spinta della disperazione, che porta quel 20% di persone a migrare a qualunque costo, perché la prospettiva di restare è più atroce che rischiare la vita per provare ad andarsene.
In occasione della Giornata Internazionale dei Migranti è bene quindi porre l’accento sul perché ci sono uomini e donne nel mondo che prendono in braccio i propri figli e li espongono ai pericoli più indicibili per provare ad offrigli una vita. Non una vita migliore, ma proprio una, una qualunque, che non sia dove hanno avuto la sfortuna di venire al mondo. Ed è bene prendere coscienza del fatto che la disparità di distribuzione delle risorse, i cambiamenti climatici e le problematiche legate alla sussistenza che ne conseguono, le guerre, e il divario economico tra i paesi del mondo, porteranno la popolazione globale ad affrontare migrazioni senza precedenti.
I flussi che vediamo nel Mediterraneo e che tanto destabilizzano i governi del Vecchio Continente sono niente in confronto ai milioni di esseri umani che si sposteranno da qui a un paio di decenni da paesi come l’Asia, già terra d’origine di milioni di migranti. Ammesso e non concesso quindi, che la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie sia un documento ormai obsoleto, il numero di migranti irregolari e il numero di esseri umani morti nel corso del viaggio richiede un approccio internazionale che non è più posticipabile.
Per questo 18 dicembre quindi, a pochi giorni dal Natale, l’augurio che possiamo fare a tutti gli uomini, le donne e i bambini che migrano, è che ogni viaggio, ogni partenza e ogni arrivo siano protetti quanto prima da un abbraccio internazionale, perché significherà che i potenti hanno compreso quanto ogni uomo sia una risorsa. Accogliere con dignità non è un gesto caritatevole, ma un modo intelligente di investire in capitale umano, una grande fonte di energia rinnovabile.