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Giornata internazionale dell’Alfabetizzazione

Dai banchi di scuola a un computer in ufficio: l’analfabetismo e le sue forme

Oggi si celebrata la Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione (International Literacy Day) istituita nel 1967 dall’UNESCO. L’8 settembre è la data scelta per sottolineare l’importanza dell’alfabetizzazione in tutti i paesi e in tutte le culture.

Ogni anno si orienta l’evento su una problematica di rilievo internazionale. Il tema specifico del 2023, è “Promuovere l’alfabetizzazione per un mondo in transizione: Costruire le basi per società sostenibili e pacifiche”. “Garantire a tutti un’educazione di qualità, equa e inclusiva” è uno dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 -obiettivo 4- per lo Sviluppo Sostenibile identificati dalla Comunità Internazionale per il benessere dell’umanità.

L’alfabetizzazione promossa è ovviamente contrapposta all’analfabetismo, che è da intendere in tutte le sue sfumature:

Analfabetismo rimario strumentale: si riferisce a quei soggetti privi delle abilità di scrittura e lettura, che dunque non comprendono l’alfabetizzazione di base, con enormi ripercussioni sul piano della comprensione generale.

Analfabetismo di ritorno: si riferisce a quei soggetti alfabetizzati che senza la necessaria esercitazione delle competenze alfanumeriche regrediscono e perdono la capacità di utilizzare il linguaggio scritto per formulare e comprendere messaggi.

Analfabetismo funzionale (detto anche quantitativo e illetteratismo): si riferisce a quei soggetti incapaci nell’utilizzare correttamente l’alfabetizzazione di base. Riescono dunque a leggere, scrivere e far calcolo, ma comprendono solo il significato delle singole parole, non riuscendo a legare insieme i vari significati di un discorso con trama più o meno complessa. Ciò comporta una non comprensione della società in cui sono immersi.

Alfabetizzazione è dunque sì un diritto fondamentale all’istruzione, ma anche e forse soprattutto uno strumento che dona dignità e indipendenza: arma potentissima che rende una persona davvero libera, in grado di possedere e formulare una propria identità di pensiero.

Con l’evoluzione della società l’alfabetizzazione non ha smesso di arricchirsi di significato: si tiene al passo con le problematiche di ogni generazione allargando il suo impiego a tutte quelle situazioni in cui un soggetto provi estrema difficoltà nel comprendere i vari “alfabeti” nel mondo che lo circonda, non riuscendo ad inserirsi adeguatamente nel tessuto sociale.

A cavallo anni ’90 e anni 2000 il “divario digitale”, o digital divide, fa capolino nel mondo e inizia a differenziare chi ha accesso a internet, partecipandovi attivamente e chi rimane escluso, non riuscendo a tener testa all’impennata degli sviluppi tecnologici. Questo nuovo concetto diede vita a un nuovo e diffuso analfabetismo tecnologico.

Nel 1997 il giornalista Maurizio Maggiani riassunse magistralmente la problematica in un suo breve intervento nel programma “La storia siamo noi”, di cui era conduttore:

«Stamattina non sono riuscito ad assistere un bambino nel suo gioco al computer. Non sapevo usare il computer per spiegarlo al bambino. Per quanto riguarda questo computer io sono analfabeta. Ci sono molti alfabeti oggi, non ce n’è uno. Io sono convinto di essere per alcuni di essi ancora analfabeta e credo di essere in buona e folta compagnia.»

In particolare, la puntata “Non è mai troppo tardi” era dedicata all’evoluzione dell’istruzione in Italia, ricostruita in studio da due illustri figure: il sociologo Sabino Acquaviva e il pedagogista Raffaele Laporta.

Entrambi gli studiosi, dopo aver analizzato filmati e dati, erano concordi nell’individualizzazione di una iniziale “cultura analfabeta” tipica del dopoguerra, che sostanzialmente rifiutava l’alfabetizzazione. «La leva scolastica era temuta come quella militare perché i bambini erano forza lavoro. – affermò in studio il dottor Laporta. – Ad aver plasmato questa mentalità sono state le lotte sociali, le trasformazioni sociali e soprattutto il mondo del lavoro. Le famiglie, godendo di un certo benessere economico, persero l’urgenza immediata di forza lavoro, permettendo di scommettere sui giovani dell’epoca, che hanno iniziato ad esser visti come forza lavoro futura

Il titolo scelto per questa puntata di “La storia siamo noi” racconta un altro momento chiave nella lotta all’analfabetismo in Italia.

“Non è mai troppo tardi” era il nome di un’altra trasmissione RAI, andata in onda dal 1960 al 1968. La televisione nazionale degli anni 60 organizzò un vero e proprio corso per l’alfabetizzazione di massa: si pensò a una trasmissione che potesse arrivare attraverso gli schermi direttamente nelle case degli italiani, col fine d’insegnare a leggere e a scrivere agli italiani fuori età scolare ancora analfabeti.

L’educatore Alberto Manzi fu il conduttore scelto per lo scopo e in breve tempo divenne “il maestro per antonomasia”. Il programma fu un enorme successo. La TV fece quello che un secolo di scuola statale non era riuscita a fare: far conoscere l’italiano standard agli italiani.

Il “problema dell’analfabetismo” potrebbe rimandare a società d’altri tempi, a televisioni in bianco e nero e a racconti sbiaditi di parentele lontane, lontanissime. Si potrebbe associare il termine “analfabeta” a un concetto anacronistico, ormai perso nel corso della storia. In questa associazione il nostro prototipo di analfabeta potrebbe essere un adulto degli anni ‘50, che impugnando goffamente una penna, magari costretto dietro un banco di scuola troppo piccolo per lui, scarabocchia su un foglio, nel tentativo di imitare le lettere perfette di una graziosa maestra.

In realtà, situazioni come quella appena descritta raccontano di un analfabetismo, quello primario strumentale che purtroppo non riguarda solo il passato. Nonostante i costanti progressi compiuti, nel mondo ci sono ancora circa 758 milioni di adulti analfabeti strumentali, due terzi dei quali sono donne.

Secondo il report 2020 dell’Istat, gli analfabeti strumentali in Italia sono lo 0,6% della popolazione (339.585 persone), mentre gli alfabeti privi di titolo di studio sono il 4% (2.186.331 persone).

Ad oggi l’alfabetizzazione è ancora un diritto negato, soprattutto nei paesi più poveri o in guerra i bambini non hanno accesso all’istruzione privandoli, di fatto, di un futuro migliore. Spesso le cause di questa mancanza sono dovute al fatto che gli stessi genitori in un contesto di forte povertà o disagio sociale non hanno accesso alle scuole e in un terribile labirinto che sembra senza uscita, a pagarne il conto sono i più piccoli, soprattutto le bambine legate, nei paesi meno sviluppati, all’idea di dover occuparsi della casa o sposarsi.

Il diritto all’istruzione è sancito dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia e come tale andrebbe difeso e protetto.

Ad oggi sempre più paesi puntano letteralmente alla luna, si creano intelligenze artificiali, ma i fondi legati all’istruzione dove è necessario sono sempre meno e nel gioco del progresso c’è sempre chi cade e resta indietro. E purtroppo sono ancora troppo pochi coloro che si fermano per dare una mano.

Social addict e fotoreporter di BarlettaWeb24, il primo quotidiano on line del gruppo, giovane e innovativo, si pone l’obiettivo di coinvolgere i lettori e renderli attivi e partecipi sul proprio territorio, attraverso notizie costantemente aggiornate e approfondite.

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