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Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità

La lunga strada verso un mondo in cui non ci sia più bisogno di includere, ma solo di condividere.

La disabilità non è una scelta ma una condizione, che sia dalla nascita o che arrivi in un’altra fase della vita, e come tale andrebbe considerata, proprio come qualunque altra. Il 3 dicembre ricorre la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, per questo oggi proviamo a fare il punto.

La disabilità è un limite solo quando il contesto non è adeguato alle necessità: questo dovrebbe essere il pensiero guida quando ci chiediamo come dovrebbe essere un mondo inclusivo. È vero, ogni disabilità porta con sé esigenze e peculiarità diverse, difficoltà logistiche o la necessità di modulare la comunicazione: proprio per questo, un mondo inclusivo, dovrebbe essere in primo luogo flessibile, così da rendersi accogliente per quanti più individui possibile.

Per provare a rendere reale questo mondo ideale, nel 1981 le Nazioni Unite hanno indetto l’Anno Internazionale delle Persone Disabili, per incentivare la comprensione e l’ascolto dei problemi legati alle disabilità e rendere consapevole tutta la comunità internazionale della necessità di impegnarsi per garantire benessere, dignità e diritti a tutti coloro che convivono con questa condizione, in ognuna delle sue sfaccettature.

Quell’anno, nei piani delle Nazioni Unite, doveva servire ai governi per definire una strategia a livello regionale, nazionale e internazionale, che permettesse ai paesi di fare un salto in avanti in termini di inclusione; per mettere in atto queste strategie era stato indetto anche un Decennio delle persone disabili, dal 1983 al 1992. Al termine di questo decennio è stata poi istituita la Giornata Internazionale per le Persone Disabili. Non sappiamo esattamente quanto sia cambiato davvero nell’arco di quel decennio, ma sappiamo che, almeno in Italia, la strada verso l’inclusione è ancora lunga.

Senza entrare troppo in quel labirinto fatto di statistiche, leggi e tecnicismi ci basta qualche cifra generica per farci un’idea di quanto l’Italia non sia propriamente uno accogliente per tutti. Nel nostro paese ci sono circa due milioni e mezzo di famiglie che convivono la disabilità, per un totale di poco più di tre milioni di persone disabili. Tralasciando aspetti fondamentali come lavoro e istruzione, e dedicandoci per un attimo a tutto ciò che arricchisce la vita sociale delle persone, vogliamo soffermarci sul fatto che solo il 9% delle persone con disabilità frequenta regolarmente teatri, cinema, musei e concerti, e questo non per mancanza di interesse, ma perché meno del 38% dei musei italiani è pronto ad accogliere anche disabilità gravi, mentre solo il 20% offre opuscoli e percorsi pensati per chi ha esigenze diverse, come ad esempio pannelli tattili o in Braille.

Una percentuale molto simile a quella che racconta la fruizione di ambienti di svago la ritroviamo anche in merito all’approccio allo sport. Le persone diversamente abili che praticano attività fisica abitualmente sono, infatti, meno del 10%; di fatto, circa l’80% di chi convive con esigenze fisiche e/o intellettive differenti da ciò che è considerato normale, conduce una vita quasi inattiva.

Che si tratti di ambienti e impianti inadeguati, o di difficoltà percepite, questi dati riflettono uno scenario decisamente triste e poco edificante della qualità della vita con disabilità in Italia. Non servono statistiche per raccontarci che di certo esistono isole felici o aree dove insistono problematiche ben peggiori; sappiamo bene infatti, che nel nostro paese più che in altri, il welfare ha anche molto a che fare con la geografia e con la fortuna di nascere in un comune anziché in un altro. A fronte di una evidente mancanza governativa a livello nazionale infatti, molto, in merito di accessibilità e inclusione, è demandato alle regioni e ai comuni, ma anche ad associazioni, organizzazioni e fondazioni private.

Includere non significa semplicemente “rendere accessibile” bensì non far pesare normali gesti quotidiani a chiunque viva con esigenze fuori dell’ordinario. Includere significa non far sentire speciale chi ha bisogno di un’attenzione in più, ma fargli sentire che quell’ambiente, quel condominio, quell’ospedale, è stato pensato tanto per lui quanto per chiunque altro.

Il vero passo verso l’inclusione lo faremo ma quando l’eccezione sarà – passateci questo termine bruttissimo ma funzionale – normalizzata; quando il termine “inclusione” sarà sostituito per sempre da “condivisione”. Fino ad allora arrancheremo tra una rampa non a norma e un’audioguida, in attesa che si sblocchi il migliore tra i mondi possibili.

 

Articolista di barlettaweb24, il primo quotidiano on line del gruppo, giovane e innovativo, si pone l’obiettivo di coinvolgere i lettori e renderli attivi e partecipi sul proprio territorio, attraverso notizie costantemente aggiornate e approfondite.

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