Secondo stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e l’UNICEF, nel mondo 160 milioni di bambini tra i cinque e i diciassette anni sono costretti a svolgere lavori perché si trovano in situazioni di vera povertà. Il 12 giugno ricorre la giornata mondiale contro il lavoro minorile, in modo da poter sensibilizzare la tematica e soprattutto cerca di contrastare il problema. Tuttavia, non mancano casi di bambini lavoratori anche nelle aree marginali del Nord del mondo.
Tra le forme più gravi di lavoro minorile c’è il lavoro di strada, che coinvolge quei bambini che, nelle grandi città di Asia, America Latina e Africa, cercano di sopravvivere raccogliendo materiali riciclabili o vendendo cibo e bevande.
Un altro aspetto di questa drammatica situazione è lo sfruttamento sessuale dei minori per scopi commerciali, che colpisce un milione di bambini ogni anno.
Con l’obiettivo di individuare soluzioni efficaci e di lungo periodo alla problematica del lavoro minorile, l’UNICEF, in collaborazione con l’ILO-IPEC e la Banca Mondiale ha avviato lo Understanding Children’s Work, un progetto di ricerca che ha consentito di “fotografare” con precisione la realtà del lavoro minorile in diversi Paesi in via di sviluppo, orientando così le strategie finalizzate ad affrontare il problema.
I settori in cui il fenomeno del lavoro minorile è più diffuso, sono:
- la ristorazione,
- la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali,
- attività in campagna,
- in cantiere,
- attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti,
- Ma emergono anche nuove forme di lavoro online, come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi.
Sicuramente ci è capitato di sentire anche il caso della nota azienda di fast fashion, uno dei siti più famosi al mondo il quale riesce a vendere tantissimi prodotti a prezzi contenuti; questo sito si è reso famoso anche per lo sfruttamento dei lavoratori e dei minori. Secondo l’indagine condotta da Public Eye, che ha lo scopo di esaminare la catena di approvvigionamento, il sito è rifornita da circa 17 aziende, situate principalmente nella zona di Nancun, un quartiere di Panyu a Hong Kong. Ma le sue condizioni igienico-sanitarie, non combaciano con l’idea di un’azienda internazionale che produce oltre un milione di capi di abbigliamento al giorno. Le condizioni dei lavoratori in queste fabbriche, non sono adeguate nemmeno dal punto di vista della flessibilità oraria. I dipendenti delle aziende che sono stati intervistati da Public Eye, descrivono le condizioni di lavoro insostenibili, calcolando 11 ore lavorative al giorno, l’assenza di un contratto di lavoro e nessun contributo previdenziale
Insomma lo sfruttamento minorile è un problema enorme che non risparmia nessuno, bisogna sempre informarsi sull’etica del brand a cui vogliamo rivolgerci in modo da evitare di incentivare quelle grosse imprese in cui i diritti dei minori non vengono rispettati.
Rossana Cristallo