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Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio

Il 10 settembre ricorre il World Suicide Prevention Day: la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in collaborazione con la Federazione Mondiale per la salute mentale e all’Associazione Internazionale per la prevenzione al suicidio. È un modo per promuovere la consapevolezza nella comunità scientifica e nella popolazione generale sulla salute mentale e per sensibilizzare le persone sulla prevenzione del suicidio. Un milione di persone muore ogni anno nel mondo per suicidio. Il tasso di mortalità è di 14,5 su 100.000 abitanti. Significa che ogni minuto si suicidano più di due persone, a volte ogni 40 secondi.

Ci sono delle false credenze che impediscono a volte di riconoscere delle intenzioni suicide. Molte volte le persone che muoiono per suicidio non lasciano una spiegazione del gesto, ma la maggior parte delle persone fornisce indizi sulle loro intenzioni: segnali anche non verbali e a volte difficili da rilevare. Non è pertanto vero che le persone che parlano di suicidio cercano solo di attirare l’attenzione è un grido d’aiuto: le persone non vogliono morire, desiderano soltanto che il dolore che provano finisca.

Nell’ 80% dei casi chi ha tentato il suicidio e per qualche ragione non riesca a compiere il gesto, tenterà nuovamente. C’è l’errata credenza che se il tentativo di suicidio fallisce significa che la persona non era seriamente intenzionata a porre fine alla propria vita: molto spesso non sanno solo bene come fare. Il fattore unico da non sottovalutare resta sempre l’intenzione.

La mancanza di conoscenza e i falsi miti sul suicidio nascono dalla mancanza di conoscenza del fenomeno e questo può portare a non accorgersi dei segnali che possono arrivare da chi ci è vicino.

L’incidenza del suicidio è elevata ed allarmante soprattutto tra i giovani. Secondo i dati epidemiologici dell’Oms, il suicidio rappresenta infatti la seconda o terza causa di morte tra gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni e i giovani adulti nei paesi industrializzati. È tra le prime 20 principali cause di morte per persone di tutte le età.

Parlare di suicidio deve essere possibile ed accettabile. Non deve essere un tabù. Spesso, soprattutto in alcune culture cristiane il suicidio è ancora considerato una vergogna, e in tempi meno recenti non si celebrava il rito funebre perché considerato peccato mortale. Di fronte ad un suicidio, la società ancora è divisa. Spesso è considerato un fallimento personale, quando in realtà bisognerebbe chiedersi quanto la società influisca nella decisione e nell’atto estremo di togliersi la vita.

Secondo Edwin S. Shneidman che è stato uno psicologo statunitense, specializzato nel trattare l’argomento del suicidio, alla sua bace c’è il dolore mentale insopportabile. Lo definisce psychace, significa tormento nella psiche. Dove senti dolore? come posso aiutarti? sono le parole da rivolgere ad una persona che vuole commettere suicidio. Se il ruolo del suicidio è quello di porre fine ad un insopportabile dolore mentale, allora chi deve occuparsi di un individuo suicida che soffre a tal punto è quello di affettare questo dolore, così che quell’individuo che voleva morire sceglierà di vivere. Secondo Shneidman la vergogna, la colpa, la rabbia, la solitudine, la disperazione sono le fonti principali del dolore psicologico. Il suicidio, per Shneidman, è il risultato di un dialogo interiore: la mente passa in rassegna tutte le opzioni per far smettere il psychace; emerge il tema del suicidio e la mente lo rifiuta e continua la verifica delle opzioni. Trova il suicidio, lo rifiuta di nuovo. Alla fine, la mente accetta il suicidio come soluzione, lo pianifica, lo identifica come l’unica opzione risposta, l’unica disponibile. Emerge il pensiero dicotomico, ossia il restringimento delle opzioni a due sole rimedi: avere una soluzione specifica e totale oppure la cessazione (suicidio).

Francesco De Sanctis sosteneva che il suicidio è umanamente “un atto di fragilità di fronte ad una sofferenza, fisica e psicologica, che non si riesce più a sostenere o non si vuole più accettare. È una via di fuga. Da uomo a uomo, molto comprensibile. Da uomo a uomo, molto prevenibile”.

Il compito della società dovrebbe essere quello di non restare indifferenti, di non voltare le spalle al malessere altrui ed essere preparati e consapevoli può rendere più semplice comprendere chi ci circonda; essere pronti a raccogliere i segnali di coloro che ci sono vicino. È necessario che tutti sappiano che le fragilità mentali non sono una macchia nera da nascondere. Si deve poter avere la libertà di chiedere aiuto senza temere la vergogna o il giudizio, ci si deve sentire sicuri di essere ascoltati e compresi e sapere che se si cade, ci sarà una rete a soccorrerci e che nella disperazione ci sarà sempre una mano tesa che eviterà di farci cadere in un abisso senza più ritorno.

Nessuno è immune al dolore, la sensibilità e la fragilità di ognuno però, fanno la differenza nel modo in cui questo si affronta, e sta all’umanità e all’intelligenza di ognuno capire che a volte un semplice gesto o una parola può mettere la giusta distanza tra la vita e la morte.

Oggi Domenica, 10 settembre, la facciata del Palazzo della Presidenza della Giunta regionale sul lungomare di Bari sarà illuminata di giallo per “accendere” una riflessione in occasione di questa giornata. Lo slogan scelto per questa ventesima edizione è #CreatingHopeThroughAction “Agire per Costruire Speranza”, perché è proprio attraverso l’azione e il dialogo che si può ridare speranza a chi pensa di non averne più.

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