Prima li abbiamo eletti eroi nazionali, figure mitologiche dedite al sacrificio in nome di una missione: salvarci la vita. Poi, passato l’entusiasmo (e la paura), abbiamo ripreso ad aggredirli, sfogando su di loro rabbia e ignoranza, non sempre in quest’ordine. Uomini e donne che appartengono all’ampia compagine del personale sanitario e sociosanitario sono da tempo, spesso loro malgrado, sotto i riflettori. Lo saranno ancora – questa volta per celebrare il loro indiscusso impegno e la loro devozione alla causa della sanità italiana – il 20 febbraio, giorno in cui l’Italia celebra, per esteso, la Giornata Nazionale del personale sanitario, sociosanitario, socioassistenziale e del volontariato
Questa ricorrenza è stata istituita nel novembre del 2020, quando nel pieno della pandemia abbiamo dovuto fare i conti con lo straordinario sforzo profuso da migliaia di uomini e donne, sottopagati, sottovalutati, insufficienti, che hanno lavorato giorno e notte in condizioni spesso proibitive, per cercare di salvare e accudire quante più persone possibile, facendo un lavoro straordinario.
Da allora viene celebrata ogni anno, con sfilate di cariche istituzionali, eventi, tricolori ma a conti fatti, per quella sanità, che seppure traballante e povera ha tenuto botta durante gli anni della pandemia e continua a farlo anche ora, si è fatto ben poco, e pian piano è venuta meno anche la riconoscenza.
Negli ultimi anni, infatti, con la pandemia appena dietro l’angolo, sono stati tanti, troppi, i casi di aggressioni violente ai danni del personale medico e affine. Parenti imbestialiti per qualche ipotetica mancanza o negligenza, pazienti stanchi di aspettare o in disaccordo con l’operato dei professionisti… quali che fossero le ragioni, il risultato è il medesimo: il nostro personale sanitario, oltre a tutte le difficoltà del lavorare in un ambiente su cui il governo centrale non investe a dovere, deve fare i conti anche con un bacino di utenza sempre più altezzoso, presuntuoso e aggressivo.
E sebbene si parli di umani tra gli umani, di persone che sono, in quanto tali, fallaci, spesso non è in casi di errori conclamati che si verificano questi episodi, bensì in situazioni di attesa, di attenzioni insufficienti, di insofferenza.
Certo, è comprensibile che ogni malato è il più malato di tutti agli occhi di chi lo ama e – spesso – lo accompagna, ma è anche vero che se da un lato ci si aspetta un intervento tempestivo, dall’altro dovrebbe essere chiaro che questo sarà proporzionato alla gravità del caso. E che, se anche l’attesa dovesse prolungarsi oltre le aspettative, ci sarebbe un limite al disappunto che si può esprimere e alle modalità con cui farlo.
La Giornata Nazionale del Personale Sanitario, Socioassistenziale e del Volontariato, comunque, oltre a una celebrazione di queste professionalità, è anche un’occasione di riflessione e programmazione per il futuro.
Le celebrazioni ufficiali che si svolgeranno il 20 febbraio 2025 a Roma avranno come tema “Rinnovamento delle professioni per una nuova sanità”. In occasione di questo confronto pubblico il Ministro per la Salute Schillaci e i professionisti rappresentanti delle vari categorie si confronteranno proprio sull’evoluzione delle professioni sanitarie tutte, sulle necessità formative di cui ci sarà sicuramente bisogno e su quali saranno le nuove figure che da qui a qualche anno saranno necessarie per stare al passo con i tempi, scientifici e tecnologici.
Il 20 febbraio sarà quindi un’occasione per gli addetti ai lavori in prima battuta, ma anche per tutti i cittadini, per una riflessione collettiva sull’importanza delle figure sanitarie, che ricordiamolo sono tantissime, che svolgono il proprio lavoro quotidianamente tra difficoltà, budget insufficienti e strutture non proprio all’avanguardia, garantendo comunque un servizio gratuito per tutti i cittadini, che hanno – dal canto loro – il rispetto come unico compito inderogabile. Rispetto della persona, degli anni di studio che questa ha alle spalle, e delle strutture e delle attrezzature che spesso vengono devastate durante le aggressioni.
Ai medici e a tutti i professionisti sanitari che gravitano attorno a un paziente, chiediamo solo un esercizio, in alcuni casi più faticoso che in altri, di empatia. Perché, se è vero che l’educazione talvolta sembra essere passata di moda, è altrettanto vero che un camice non dovrebbe mai accompagnarsi a un piedistallo, al massimo a uno sgabellino per guardare le persone negli occhi, per non dimenticare che un caso clinico non è solo statistica ma emozioni, ansia, paure e si, anche maleducazione, ogni tanto, ma non sempre.