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Giorno della Memoria 2024: la storia è monito o eterno ripetersi?

La data coincide con il giorno in cui, nel 1945, l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz: da allora il 27 gennaio è il giorno in cui il mondo ha ufficialmente squarciato il velo che copriva gli orrori compiuti dai nazisti nei campi, portando alla luce in tutta la sua abominevole violenza, l’Olocausto. Proprio per questo, con una risoluzione delle Nazioni Unite, dal 2005 il 27 gennaio è diventato il
Giorno della Memoria.

Una giornata fortemente voluta e sostenuta da tutta la comunità internazionale, che a distanza di decenni ancora non riesce a far pace con l’inaudita violenza che si è sprigionata nei campi di concentramento e non solo, durante la Seconda guerra mondiale. A partire dalle leggi razziali, l’Europa ha visto perseguitare milioni di ebrei per lo più, ma anche rom, sinti, omosessuali, disabili e chiunque non rispondesse allo stereotipo di umanità perfetta inseguito da Hitler e dai suoi alleati. Con l’inizio dei rastrellamenti prima e delle deportazioni poi, si stima che i morti siano stati poco meno di sei milioni, ma non è difficile ipotizzare una stima per difetto.

Quello che è certo è che lo sterminio nazista ai danni del popolo ebraico sia il crimine peggiore compiuto dall’umanità, ed è raccapricciante pensare che siano passati meno di 80 anni da allora, che sia successo in un’epoca “moderna”, possiamo dire contemporanea, considerando che, seppure pochi, ci sono ancora dei sopravvissuti.

In questo 2024 è difficile parlare del Giorno della Memoria mentre l’esercito di Israele sta portando avanti una strage contro il popolo palestinese a seguito degli orrendi attacchi terroristici compiuti da Hamas il 7 ottobre del 2023. È difficile, non perché questo renda meno vittima il popolo di Israele, ma perché l’esercito lo sta facendo camuffando le proprie azioni come danni collaterali di un contrattacco necessario in nome di quell’antisemitismo che ancora oggi li perseguita. Il governo israeliano però, dimentica spesso di dire che quell’attacco è stato, di fatto, causato da 70 anni soprusi, violenze e politiche colonialiste aggressive e repressive compiute ai danni del popolo palestinese.

Quello che è certo è che in poco più di 100 giorni di guerra tra Israele e Palestina, sono state uccise più di 25000 persone palestinesi, di cui, secondo dati ONU il 70% sarebbero donne e bambini. A questi si devono aggiungere oltre 60000 feriti e il fatto che la popolazione di Gaza è ridotta alla fame da mesi e vive in condizioni igienico sanitarie ben al di sotto dei limiti di sopravvivenza.

La controffensiva violenta ed inesorabile portata avanti da Israele ha convinto il Sudafrica a fare causa allo stato ebraico per genocidio; il processo è iniziato l’11 gennaio, e proprio mentre scriviamo le agenzie di stampa stanno rendendo noti gli ultimi aggiornamenti dal tribunale internazionale. L’Aja ha intimato ad Israele “di prendere ogni misura per prevenire atti di genocidio a Gaza” e ancora di “prendere provvedimenti immediati per consentire aiuti umanitari e beni di prima necessità alla Striscia di Gaza”.

Sebbene dunque il tribunale dell’AJA non abbia ancora pronunciato una esplicita richiesta di cessate il fuoco, è evidente la posizione della corte, che sta probabilmente agendo per gradi per evitare una escalation di tensione dovuta alle prime reazioni decisamente poco concilianti del governo israeliano, che insiste con la richiesta di archiviazione, anch’essa però negata, sempre oggi, 26 gennaio.

Il nuovo conflitto che coinvolge il popolo ebreo sta dividendo il resto del mondo tra chi giustifica ogni azione in nome del “mai più un Olocausto” e chi invece, proprio tenendo ben a mente il disastro umano che ha lasciato quella pagina nera, chiede al popolo di Israele di fermarsi e di porre fine almeno allo spargimento di sangue dei bambini e dei civili tutti. Una stessa fetta della popolazione israeliana è fortemente in contrasto con le azioni militari intentate dall’esercito nazionale, giudicate completamente sproporzionate all’attacco e, soprattutto, controproducenti per quello che ufficialmente dovrebbe essere il loro obiettivo: la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

Stabilire cosa è giusto e cosa non lo è risulta davvero difficile perché il contesto in cui avvengono i fatti è articolato, ingarbugliato ed estremamente delicato. I fatti ci parlano di un popolo ferito ancora nel profondo dalla Shoah e da tutto ciò che ha comportato all’epoca e che ancora oggi significa per gli ebrei di tutto il mondo, che il 7 ottobre hanno visto frantumarsi lo scudo che pensavano infrangibile sotto un attacco dai dettagli disumani. Dall’altra parte c’è una popolazione, quella palestinese, vessata e privata della propria dignità da decenni. Repressa e messa in castigo in una striscia di terra affacciata sul mare, un mare da non poter solcare però. Una striscia da cui non poter scappare, da cui non poter neanche uscire.

Un popolo, quello di Israele, che porta marchiato nel proprio DNA un dolore e una persecuzione atavica, da cui non riesce ad affrancarsi, e che si rinnova ad ogni evento traumatico. Un dolore che per buona parte del mondo è diventato un monito, ma che per loro resta un seme di rabbia pronto ad esplodere come in questi mesi. Comprensibile, certo, ma anche difficile da accettare per chi, dal terreno neutrale della propria casa sicura, osserva la devastazione di Gaza.

Questo Giorno della Memoria 2024 si rende quindi indispensabile per fare una riflessione profonda sulle ripercussioni che gli eventi possono avere anche a distanza di decenni, di ere tecnologiche, di rivoluzioni politiche. Questo Giorno della Memoria dovrebbe arrivare in ogni scuola, in ogni famiglia, in ogni angolo di strada: bisogna insistere con il racconto, con le testimonianze, con l’educazione alla diversità, alla bellezza di ogni cultura, al rispetto di ogni essere umano. L’educazione, la memoria e il tempo sono le uniche medicine per questa umanità provata, che ciclicamente si guarda nello specchio della storia e deve fare i conti col proprio passato, mentre il presente pretende risposte.

Articolista di barlettaweb24, il primo quotidiano on line del gruppo, giovane e innovativo, si pone l’obiettivo di coinvolgere i lettori e renderli attivi e partecipi sul proprio territorio, attraverso notizie costantemente aggiornate e approfondite.

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