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Il Giorno del Ricordo, la luce della verità sul massacro delle foibe

Di quando la terra inghiottì gli italiani, colpevoli solo di esserlo in una terra di confine

È una storia di confine, quella del massacro delle foibe, e come tutte le storie di confine non è un racconto lineare, ma intricato, come le profonde spaccature nella terra da cui tristemente prende il nome.

Quelle rughe feroci che segnano il Carso, al confine tra Friuli – Venezia Giulia e Slovenia e Croazia che sono state il teatro di una strage di innocenti con cui l’Italia ancora fatica a fare i conti e che dal 2005 si ricorda il 10 febbraio di ogni anno.

La data in cui celebrare il Giorno del Ricordo non è stata scelta a caso, ma cade nel giorno dell’anniversario del Trattato di Parigi, con cui le forze alleate hanno sancito – il 10 febbraio del 1947 – l’annessione di Fiume, Zara e tutta l’Istria e le isole della Dalmazia alla Iugoslavia. Come se non bastasse, il trattato stabiliva la confisca di tutti i beni dei cittadini italiani di quelle regioni, generando così un esodo di massa verso la vicina Italia e l’inizio di un dolore che quegli italiani e i loro eredi portano con sé ancora oggi, accanto a quello per le migliaia di familiari barbaramente uccisi in nome del solito, devastante, desiderio di prevaricazione.

Ma cosa si intende quando si parla di “foibe”? Proviamo a fare un po’ di chiarezza in uno dei periodi più bui e complessi della storia degli italiani.

Come abbiamo già detto, le foibe sono cavità naturali del Carso, profonde centinaia di metri, che nel periodo immediatamente successivo al fallimento del partito fascista italiano, sono state usate da partigiani comunisti di Tito (futuro dittatore in Iugoslavia) per occultare i cadaveri delle vittime italiane, uccise in modo brutale con la sola colpa di essere – secondo il Maresciallo Tito – nemici del comunismo.

Le violenze ebbero inizio dopo l’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, quando il governo italiano cessò le ostilità verso gli Alleati, lasciando un vuoto di potere in Istria e Dalmazia che portò quel territorio nel caos. I partigiani di Tito, con l’obiettivo di vendicare le violenze subite durante il periodo fascista, colpirono la popolazione italiana, considerata complice o sostenitrice del regime.

 

Le atrocità raggiunsero l’apice nel 1945, con l’occupazione di Trieste da parte dell’esercito iugoslavo. Migliaia di italiani furono uccisi e gettati – appunto – nelle foibe, mentre altri furono costretti ad abbandonare le proprie case e a fuggire in Italia, e altri ancora furono imprigionati e torturati in campi di lavoro, dove in tanti trovano la morte.

Le violenze continuarono anche dopo la fine della guerra, con il Trattato di pace di Parigi. Indro Montanelli, inviato a Pola per il Corriere della Sera, descrisse così quell’esodo impietoso di anime di confine: Ciò che più indigna non è tanto l’abbandono della città quanto il modo in cui viene eseguito; in uno stillicidio di morti, nell’insicurezza delle persone, in una ragnatela di difficoltà per i nostri e di condiscendenza per gli altri: tutto per negare che esista un problema polesano. Per il 95 per cento questi esuli sono poveri diavoli e le loro masserizie ne denunciano la miseria: tutto denuncia l’origine proletaria dei loro proprietari. Il comunismo e l’anticomunismo non c’entrano. Non fugge il comunismo chi non ha nulla da perdere. L’unico italiano di Pola che aveva mostrato l’intenzione di rimanere è un professore comunista che dopo la liberazione fondò un circolo culturale italo-slavo puntando sulla carta della fraternizzazione. Ieri ha chiesto anche lui di imbarcarsi. Lo aveva chiesto anche il sindaco italiano e comunista di un paese vicino, di nome Facchinetti, ma non ha fatto in tempo: una pallottola lo ha freddato mentre preparava i bagagli”

Il dramma delle foibe e dell’esodo istriano e dalmata è rimasto a lungo una ferita aperta nella storia italiana, una ferita che non si è mai rimarginata ma che nel 2011, da parte dell’allora presidente croato Ivo Josipovic e del nostro Giorgio Napolitano fu congiuntamente definita folle vendetta” compiuta attuando “atroci crimini che non hanno giustificazione alcuna”.

L’istituzione del Giorno del Ricordo, promossa dal deputato triestino Roberto Menia e approvato nel 2004, è stato l’inizio di una riflessione più profonda e di un processo di elaborazione e legittimazione da parte di tutte le parti coinvolte, di una pagina tristissima della nostra storia, macchiata due volte, dal sangue di allora e dall’oblio che l’ha seguita. Il lavoro di ricerca e di divulgazione per far conoscere questa tragedia e per onorare la memoria delle vittime è ancora lungo, ma il lume della verità è adesso una luce perpetua, per restituire a quei morti la dignità che gli spetta.

 

Articolista di barlettaweb24, il primo quotidiano on line del gruppo, giovane e innovativo, si pone l’obiettivo di coinvolgere i lettori e renderli attivi e partecipi sul proprio territorio, attraverso notizie costantemente aggiornate e approfondite.

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