Il Giorno della Memoria, nell’anno dell’ottantesimo anniversario dell’abbattimento dei cancelli del campo di stermino di Auschwitz e della scoperta di tutto quell’orrore, giunge a pochissimi giorni dall’entrata in vigore della controversa tregua su Gaza.
Mentre lì, nel gelo dell’inverno polacco del 1945, le truppe sovietiche svelavano al mondo gli orrori perpetrati dai nazi-fascisti ai danni del popolo ebraico e di tutte le minoranze etniche e sociali, oggi, lo stato ebraico si trova a mostrare al mondo la devastazione causata da un anno e mezzo di bombardamenti massivi attuati in risposta agli attacchi terroristici subiti il 7 ottobre 2023.
Un parallelismo scomodo? Impopolare, forse? Di certo disturbante, ma difficile da mettere a tacere, quando i protagonisti sono proprio gli eredi di quel popolo martoriato.
Da ottant’anni infatti, il mondo intero, ma soprattutto le comunità tedesche ed ebraiche, fa i conti con quello che fu un evento non ancora metabolizzato da gran parte delle parti coinvolte. Milioni e milioni di ebrei furono sterminati in un modo brutale, tra camere a gas, fucilazioni sommarie, stizza e puro delirio di onnipotenza ariano, con l’unica colpa dichiarata di non rispondere ai canoni dell’ideologia hitleriana e quella non dichiarata di aver accumulato potere e ricchezze troppo grandi per essere ignorate.
Una tragedia immane che ha segnato un popolo che da sempre, è innegabile, deve difendere la propria identità culturale e religiosa dagli attacchi esterni: militari, politici, psicologici.
Eppure, chi governa e rappresenta quel popolo profondamente ferito, sembra non farsi scrupoli a infliggere ad altri atroci sofferenze, rivendicando ragioni diverse ma mettendo in dubbio lo scopo più autentico e profondo della memoria e l’insegnamento che ne deriva.
Il Giorno della Memoria che cade il 27 gennaio di ogni anno, nel giorno in cui i cancelli di Auschwitz furono abbattuti squarciando il velo di racconti sommari e propaganda nazista, è un monito universale che dovrebbe ricordare a tutti il devastante potere disumanizzante dell’odio e che invece, purtroppo, ci ricorda che gli eventi tornano e tornano e tornano ancora, in forme diverse, con portate apparentemente diverse, ma con una matrice unica e sempre tristemente riconoscibile: il desiderio di distruggere e prevaricare, senza curarsi, spesso, di ciò che il popolo desidera.
Quel popolo fatto di figli, nipoti e pronipoti degli ebrei morti nei campi di sterminio, infatti, dopo un sacrosanto rigurgito di rabbia davanti alla strage compiuta da Hamas quel 7 ottobre, ha fatto un profonda autoanalisi, e in tanti, anche pubblicamente, hanno concluso che, se c’è qualcosa che tutto il sangue ebreo versato dovrebbe aver lasciato nei cuori oltre che nelle pagine di storia, è che dall’odio non cresce null’altro che odio più feroce. Il popolo di Israele, in buona parte almeno, è il terreno in cui il seme della memoria sembra aver attecchito, e in cui un germoglio tenta ancora, strenuamente, di farsi strada, seppure ostacolato in tutti i modi possibili, spesso anche violenti, da chi quella memoria si ostina a macchiarla ancora invece di difenderla.
Mentre tante delle potenze mondiali si chiudono a riccio mascherando il razzismo con la protezione dei propri confini, mentre si fomenta l’odio di classe e di razza quando la società imperterrita tenta di far emergere una realtà diversa e molto più inclusiva, è lecito chiedersi se una ricorrenza come questa abbia senso.
Se già oggi, che i superstiti dei campi di sterminio ancora in vita sono sempre meno e inevitabilmente sempre più anziani, la memoria dell’olocausto, delle sue cause profonde, delle ferite insanabili, è già così labile e ci si affanna a fingere che non sia lo stesso odio ad alimentare le guerre di oggi, che speranza abbiamo per un futuro di pace?
Forse la risposta è nella speranza stessa, nel sopravvivere, in alcune generazioni più che in altre, in alcuni popoli più che in altri, di un desiderio potente di pace, che va oltre le bandiere, che non tiene conto del credo, ma dell’unica etichetta collettiva accettabile: quella di esseri umani.