Il mobbing è una forma di violazione dell’integrità personale.
Per «mobbing sul posto di lavoro» (denominato anche «terrore psicologico» o «comportamento vessatorio») si intende un determinato comportamento – individuale o di gruppo – diretto sistematicamente contro una specifica persona allo scopo di allontanarla dall’azienda.
Può consistere in aggressioni con impatto sulla comunicazione, sulla reputazione e sulla situazione professionale e privata della vittima.
Per decidere se ci sono gli estremi del mobbing occorre considerare la situazione nella sua interezza. Se certe azioni si ripetono spesso e si protraggono a lungo, si può parlare di mobbing. Ogni singolo episodio, comunque, va preso sul serio a prescindere dalla sua evoluzione nel tempo.
La Corte di cassazione, con sentenza del 5 aprile 2022, n. 12827, ha condannato il presidente di una s.r.l. per il delitto di atti persecutori per avere, tramite reiterate minacce, ingenerato nei dipendenti un duraturo stato di ansia e di paura, così da costringerle ad alterare le loro abitudini di vita. Ha inoltre previsto che “anche nel caso di stalking occupazionale è sufficiente il dolo generico”. Pertanto, il mobbing viene ad assumere rilevanza penale a prescindere dalla parafamiliarità, a cui era subordinato prima di tale pronuncia.
In Italia, la storia del reato di mobbing è una storia giurisprudenziale che, a differenza di quella francese, non è alimentata da un’apposita, specifica norma. E si tratta di un’evoluzione che proprio in questi giorni sta vivendo una fase del tutto nuova e quanto mai promettente per i lavoratori.
avv. Lucia Lonigro