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Il morbo di Parkinson

Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa, lentamente progressiva, che colpisce alcune zone del cervello; si presenta all’inizio con sintomi motori (tremori, rigidità, instabilità posturale e della marcia), in alcuni casi si sviluppa demenza e compromissione del pensiero.

Colpisce più frequentemente il sesso maschile, insorge tra i 50 e i 79 anni, ed è la seconda malattia degenerativa del sistema nervoso più frequente, dopo il mordo di Alzheimer. Esiste una forma di Parkinson definita giovanile o precoce, quando insorge tra i 20 e i 40 anni, ma in questi casi la patologia progredisce più lentamente, è molto sensibile ai trattamenti con farmaci dopanimergici e la disabilità deriva da sintomi non motori come depressione, ansia e dolore. Le cause della malattia non sono ancora ben chiare, si pensa ad una predisposizione genetica unita a fattori ambientali (ma c’è ancora molto da scoprire).

Il morbo di Parkinson è una patologia degenerativa che interessa i neuroni dopaminergici dei gangli della base (più precisamente i neuroni della sostanza nigra) che sono deputati al controllo dei movimenti volontari, sopprimono i movimenti involontari, coordinano la postura e la deambulazione. Queste cellule producono dopamina (che in generale aumenta gli impulsi nervosi ai muscoli), e quando inizia la degenerazione, la produzione di dopamina diminuisce, le connessioni neuronali diminuiscono e si deteriorano, e si presentano i sintomi quali rigidità, tremore a riposo, instabilità della postura e della deambulazione, mancata coordinazione dei movimenti, movimenti lenti (bradicinesia). Nel morbo di Parkinson i muscoli diventano rigidi rendendo il movimento meno fluido, inizia e si interrompe, come a scatti; il paziente si muove meno con conseguente indebolimento muscolare e le articolazioni di irrigidiscono; ne segue una difficoltà a camminare e a mantenere una corretta postura (i passi sono brevi, la postura ricurva).

La malattia interessa tutti i muscoli, compresi quelli più piccoli, per cui i soggetti non riescono a scrivere correttamente, abbottonarsi la camicia o allacciarsi le scarpe); è presente anche debolezza. Altro sintomo frequente è il disturbo del sonno, la necessità di svegliarsi di notte per urinare (nicturia) e la difficoltà a muoversi durante il sonno, causano risvegli e insonnia. Con l‘avanzare della malattia il deterioramento neuronale coinvolge altri gruppi di neuroni portando alla demenza (presente in un terzo dei soggetti con Parkinson) con sviluppo di allucinazioni, paranoie e manie; stitichezza cronica, incontinenza, ipotensione, depressione e disfagia (difficoltà a deglutire per la rallentata motilità esofagea, pertanto presentano un elevato rischio di aspirare i cibi, i liquidi e le secrezioni con rischio di polmonite ab ingestis). La diagnosi è clinica e soprattutto allo stadio iniziale è difficile diagnosticarla, a volte il tremore va in diagnosi differenziale con il tremore essenziale (che è un’altra patologia), la perdita di equilibrio, i movimenti rallentati e la postura ricurva sono frequenti nell’invecchiamento; l’uso della terapia con la levodopa (molecola simile alla dopamina) migliora i sintomi e aiuta a conferma la diagnosi. Nessun esame o procedura diagnostica per immagini conferma la diagnosi. TAC e RM rilevano disturbi strutturali; la PET e la SPECT invece consento di visualizzare le anomalie cerebrali tipiche del morbo di Parkinson (che però non consentono di diversificare il morbo da altre forme di parkinsonismo).

La terapia farmacologica può in parte sopperire al deficit produttivo della dopamina ma non contrasta la degenerazione neuronale e tutto quello che ne consegue. Esistono diversi farmaci per trattare il morbo di Parkinson e altri utili a trattare direttamente il sintomo (farmaci per migliorare il sonno, antipsicotici, antidepressivi…). Massimizzare le attività, mantenere la motilità articolare e la forza muscolare sono obiettivi importanti nel Parkinson, i soggetti devono proseguire le loro attività quotidiane; ove non fosse possibile, la fisioterapia e le terapie occupazionali possono aiutare a migliorare la condizione fisica. Purtroppo nelle fasi avanzate di malattia il soggetto non è più autosufficiente per cui necessita di aiuto in tutte le attività fino al deterioramento globale (allettamento, immobilità, disabilità e disfagia).

Con affetto

Dr.ssa Francesca Palmitessa

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