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La moda, inaspettato collegamento tra Oriente e Occidente

Quando si parla di moda molto spesso si pensa ad un universo vacuo, superficiale ed effimero. Ma la moda è anche e soprattutto uno straordinario mezzo per capire e analizzare i cambiamenti di una società nel corso degli anni e dei secoli.

Anche per questo, quando si parla dei rapporti tra Oriente e Occidente e più in generale di orientalismo, per meglio comprenderne le dinamiche è bene soffermarsi sul fascino che il modo di vestire degli orientali esercitò per secoli sugli europei e sulle tendenze che dalle terre lontane arrivarono e si diffusero anche in Italia.

Del resto, nella florida Venezia del Cinquecento, non era raro incontrare donne velate o uomini di cultura che sfoggiavano il turbante e la barba, fino a quel momento vista con sospetto. Pochi anni prima grande ammirazione avevano suscitato i vestiti dei greci giunti in Italia in occasione del Concilio di Ferrara e Firenze, convocato da Papa Martino V nel 1431 per trattare l’unione con la Chiesa ortodossa, e le rappresentazioni dei Magi ad opera del Mantegna. Si fa così strada l’idea di un mondo, quello orientale, dominato dal lusso, dal colore, dalla seta e dalle pietre preziose.

Nel Trecento – dopo le varie ondate di peste che misero in ginocchio l’Europa – l’abbigliamento diventò quasi un inno alla vita iniziando a valorizzare maggiormente il corpo grazie a pantaloni strettissimi per gli uomini e a profonde scollature per le donne.  Per poi concentrarsi sul grande fascino esercitato dall’imperatrice bizantina Teodora sulle collezioni di grandi case di moda e stilisti come Chanel, Romeo Gigli, Marras e Dolce&Gabbana.

La moda guarda a Oriente, in Cina per la precisione, dove il mercato del fashion business è in continua espansione, tanto da spingere i colossi della moda a corteggiare il mercato orientale con collezioni e campagne pubblicitarie pensate ad hoc. Per la stagione estiva, l’impero del dragone corre su scarpe, accessori e collezioni del prêt-à-porter e dell’haute couture con ramages, bouquet floreali e pattern irreali. Spazio a nappe, raso e cordoni annodati in vita che ‘abbracciano’ la filosofia orientale.

In bilico tra Cina e Giappone, sulle passerelle c’è stata una vera invasione di kimono, cinture obi e giacche sagomate dalle cromie rosso cremisi e nero laccato ma anche arabesque orientali, come da Prada, che ha optato per broccati e colletti alla coreana su tubini sfilacciati.

Dalle passerelle a quello che c’è dietro, e prima, si può dire che ‘La Cina è vicina’, come recitava il titolo di un film di Marco Bellocchio del 1967: non è un mistero che sulle redini della moda internazionale ci siano, da tempo, anche le mani di stilisti asiatici come Jason Wu, Peter Som, Derek Lam, Prabal Gurung, Philip Lim, e Alexander Wang, per citarne alcuni. Di stagione in stagione, il lusso occidentale sta consolidando i suoi legami con l’oriente, solleticando le fantasie e il portafogli delle ricche signore dagli occhi a mandorla, in una corsa sfrenata all’orientalizzazione tout court.

La moda italiana parla cinese da anni, dal 1988 per la precisione, quando Laura Biagiotti, precorritrice dei tempi, conquistò Pechino presentando una sfilata-evento con 125 abiti. Il cashmere, ‘pezzo forte’ della stilista romana, era un po’ ovunque, declinato nei toni laccati del bianco e del rosso: lo show fu un successo strepitoso. Con 200 milioni di spettatori cinesi incollati alla tv, Biagiotti dettò subito tendenza, diventando pioniera del Made in Italy nel Paese del dragone.

Quasi vent’anni dopo Fendi sfila per la prima volta nella storia lungo la Grande Muraglia Cinese. È il 2007 e 88 modelle – nella tradizione cinese il numero otto è considerato portafortuna – calcano la passerella per 45 minuti, in una sfilata da record davanti a 500 ospiti. Questa volta sono 300 milioni i cinesi che seguono ammaliati le creazioni di Karl Lagerfeld e Silvia Venturini Fendi.

Da allora, la lista degli stilisti che sono sbarcati, letteralmente, in Cina è diventata lunga. Da Moschino ad Alberta Ferretti, passando per Valentino, Armani, Gattinoni, Chanel e Dior, la ‘China fever’ ha contagiato tutti, compresa Gucci che per le Olimpiadi di Pechino nel 2008 confezionò una collezione venduta esclusivamente sul mercato cinese.

Ma il viaggio in Cina non è di sola andata; è il caso di Giada, marchio italianissimo di Rosanna Daolio, nato nel 2001, ma che nel 2005 ha affidato strategie di marketing e capitali al gruppo cinese RedStone haute couture di Yihzeng Zhao. I numeri del brand sono strabilianti: quasi 50 boutique monomarca nel mondo, con il primo flagship store nel quadrilatero milanese della moda, in Via Montenapoleone.

Un altro esempio è quello di Krizia, che da Mariuccia Mandelli, fondatrice del brand, è passata totalmente in mani cinesi. A tenere le redini dell’azienda è l’imprenditrice Zhu ChongYun della Shenzhen Marisfrolg Fashion, che ne cura creazioni e business.

L’Asia per anni ha influenzato Giorgio Armani, dalle collezioni di pret-à-porter, a quelle di alta moda, come nell’estiva Armani Privé, in cui il bambù domina e diventa fil rouge dell’intera collezione, stagliandosi su abiti e giacche. Protagonisti tessuti impalpabili come gazar e seta, ma anche paillettes che si arrampicano su abiti e stole. L’oriente di Armani non trascura cinture obi, tailleurs bianchi candidi con tocchi di nero, quasi a voler trovare un equilibrio tra ying e yang, il giorno che diventa notte e la notte che si fa giorno. Abiti plissettati che si addicono al daywear ma che accessoriati con orecchini di resina e clutch di coccodrillo sono perfetti all night long. La ‘orient connection’ di Armani è un invito all’eleganza estrema, raffinata, atemporale: tutto, dalle proporzioni ai tessuti, fino ai tagli, i colori e le silhouette, fa eco all’oriente. Foglie verdi di bambù cadono su giacche plissettate, pantaloni in garza double e abiti bustier, e si tramutano in preziose cappe color malva dai contorni orientali. Le cinture obi e da judo nei toni del nero e sabbia abbracciano il punto vita di abiti e pantaloni.

Per gli accessori, Valentino opta per stampe floreali turchesi e grafismi bianchi, ma anche incursioni rosse fanno capolino su handbag e scarpe, dandogli un’allure orientale. Mentre da Marchesa i sandali con le nappine si arrampicano sulle caviglie da Ohne Titel decorazioni blu e bianche richiamano, ancora una volta, i decori delle porcellane made in China.

Il richiamo all’Oriente, un Oriente più sognato che conosciuto, più mitizzato che compreso, è  nella moda europea un viaggio che si favoleggiava, per uno straordinario e «diverso» modo di vestire.

Sayōnara, Rosanna!

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