“Giuseppe De Nittis: barlettano, pittore e perfino… buongustaio. Si, buongustaio. Anzi, gourmet. Non è un sacrilegio. Abbiamo consapevolmente scelto un’angolazione gastronomica per guardare al grande artista come persona e come uomo, entrare nella sua casa, quella paterna di Barletta in corso Vittorio Emanuele (oggi in avanzato restauro) e poi quella più sontuosa di Parigi. In punta di piedi, passando per la porta della cucina e, se possibile, restarci. A tavola: gli odori, i profumi, la filosofia del mangiar bene, la curiosità di andare indietro nel tempo alla ricerca di quelle abitudini che sembrano perdute, un mosaico di piccole cose comuni”. Così il giornalista e scrittore Nino Vinella, che prosegue in questo racconto.
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V’è un’usanza nel mio paese, a Barletta in Puglia, che fu la felicità della mia infanzia”. Inizia così a scrivere De Nittis, quando da piccolo lo chiamavano affettuosamente Peppino, nel suo Taccuino 1870 – 1884, quelle “Notes et souvenirs” in forma di diario autobiografico, con altre preziose testimonianze sulla vita familiare del nostro pittore.
E Peppino De Nittis ricorda: “Dieci giorni prima di Natale, si preparano dei dolci che altro non sono che i dolci di miele dell’antichità. Tutta la famiglia si mette all’opera e tutta la casa ne è piena, per quanto grandi siano le stanze. Il fatto è che ne occorrono grandi quantità, perché se ne fanno scorpacciate per una decina di giorni. Le famiglie sono sempre numerose e poi si deve anche pensare a provvederne i parenti poveri.
I dolci di miele sono sfoglie di pasta sottili come carta, ritagliate con una rotella nelle più svariate forme e avvolte in piccoli rotoli che vengono fatti asciugare su due panni stesi per terra. Poi, dopo uno o due giorni, si friggono nell’olio e si mettono ad asciugare su fogli di carta stesi su lenzuola. Quando si sono raffreddati, si immergono nel miele bollente e, spolverati di zucchero e cannella, vengono posti nei piatti. Noi cominciavamo a parlare di quei dolci due mesi prima, perché Natale è ovunque la gran festa dei bambini e nel Napoletano più che altrove”.