La RSA (o C.R.A. in alcune regioni) è una struttura accreditata dedicata alle persone non autosufficienti (spesso si tratta di persone anziane ma potrebbero essere ospitati anche adulti gravemente disabili), che non possono essere assistite a domicilio né ricoverate in strutture ospedaliere o centri di riabilitazione.
In questi centri, in buona sostanza, vengono erogate prestazioni assistenziali di base per garantire per quanto possibile la capacità di svolgere attività quotidiane e per prevenire e contenere l’aggravamento di patologie croniche.
Le RSA possono essere pubbliche, private convenzionate con il sistema sanitario nazionale (SSN) o totalmente private.
Per accedere ai servizi di RSA pubbliche o convenzionate, il paziente è obbligato a presentare il proprio ISEE sociosanitario, senza il quale non sarebbe possibile calcolare la compartecipazione alla retta da parte degli enti locali.
Per legge, la retta di una RSA è composta da:
-una quota cosiddetta “sanitaria” ( il 50%), a carico del sistema sanitario regionale;
– una cosiddetta “quota alberghiera”, che copre tutti i servizi accessori, fra cui quelli residenziali; quest’ultima quota viene, poi, suddivisa tra il Comune di residenza e il richiedente proprio in base all’ISEE sociosanitario presentato da quest’ultimo.
La giurisprudenza è orientata a ritenere prevalente la componente sanitaria su quella assistenziale per i malati affetti da patologie mentali croniche o degenerative, ragion per cui – in casi di concreto ed effettivo bisogno – la retta di RSA a carico del paziente viene ridotta proporzionalmente.
In caso di invalidità non totale o di “patologie meramente connesse all’età”, invece, ciascun caso viene valutato singolarmente, anche con riferimento alla normativa regionale applicabile.
Qualora, poi, vi sia una sostanziale differenza fra la retta dovuta alla RSA e le effettive disponibilità del paziente, è corretto dire che – in linea di principio e salve le precisazioni che seguono – i parenti e in particolare i figli non sono immediatamente e direttamente obbligati a pagare la retta della RSA.
I parenti del paziente, infatti, si obbligano a partecipare al pagamento della retta solo se assumono una specifica obbligazione in tal senso, nel qual caso presenteranno il proprio ISEE.
Il rifiuto dei parenti di presentare l’ISEE non dovrebbe di per sé produrre alcun effetto negativo sulla graduatoria per l’accesso alla RSA.
Ciò posto, il nostro ordinamento protegge le persone prive in tutto o in parte delle risorse necessarie a provvedere alle esigenze della vita quotidiana, riconoscendo loro il diritto agli alimenti.
Chi è tenuto a prestare gli alimenti?
Nell’ordine, si tratta di:
1) coniuge;
2) figli e discendenti prossimi;
3) genitori e ascendenti prossimi;
4) generi e nuore;
5) suocero e suocera;
6) per ultimi, fratelli e sorelle (questi ultimi nella misura dello stretto necessario).
È ben possibile, quindi, che se il paziente si trova in stato di bisogno venga attivata una procedura per condannare i soggetti poc’anzi citati al versamento degli alimenti (per inciso, l’obbligazione alimentare non è di tipo solidale).
Tale procedura può essere attivata direttamente dal paziente ovvero, nel caso in cui questi sia un soggetto incapace, da un amministratore di sostegno nominato dal tribunale (più raramente viene nominato un tutore o un curatore a seguito di una procedura di interdizione o inabilitazione).
Spesso la cosa migliore è invitare i soggetti potenzialmente obbligati per legge a suddividere in anticipo gli oneri di assistenza del parente bisognoso, considerando anche che gli obbligati possono scegliere fra corrispondere una somma di denaro o accogliere presso la propria casa colui che versa in stato di bisogno.
Avv. Lucia Lonigro