Umanità è la parola che ricorre più spesso nell’arco della serata, seguita a stretto giro da accoglienza: ieri sera nella sala della comunità di Sant’Antonio a Barletta è andata in scena la strettissima attualità con lo spettacolo di prosa “Nel mare ci sono i coccodrilli”, scritto e interpretato da Christian Di Domenico partendo dal libro di Fabio Geda. A fare gli onori della serata e a guidare poi il dibattito dopo lo spettacolo è stato il Dott. Lorenzo Chieppa, Preside della sezione Nazareth – Barletta dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme che ha promosso l’evento grazie anche al supporto di una fitta rete di associazioni che hanno risposto con entusiasmo all’invito.
lI Centro Studi – Barletta in Rosa, Unitalsi, Caritas, Avis, Legambiente sono solo alcune tra le realtà locali che hanno collaborato alla riuscita dell’evento, il cui ricavato sarà devoluto a sostegno dei progetti solidali in Terrasanta patrocinati proprio dall’OESSG.
Ispirato alla vera storia del viaggio di Enaiatollah Akbari, profugo afgano rifugiato in Europa, il monologo racconta con un realismo struggente tutte le peripezie che il ragazzo, all’inizio poco più che un bambino, ha affrontato per raggiungere il vecchio continente, puntando ancora una volta i riflettori sul dolore e sulla speculazione che ruotano intorno alle grandi migrazioni di questi anni.
La storia di Einat, come lo chiamava affettuosamente il suo papà, inizia a Nala, in Afghanistan, quando il bambino ha circa sei anni e inizia proprio con la morte del padre, costretto dai pashtun a compiere un viaggio pericolosissimo in Iran per recuperare della merce, con la minaccia che in caso di insuccesso la vendetta sarebbe ricaduta sulla sua famiglia. Il padre di Einat viene derubato e ucciso in Iran prima del suo ritorno e i pashtun, furiosi, minacciano di prendere il bambino, suo primogenito, come risarcimento. La madre riesce a tenere nascosto il ragazzo grazie a una serie di sotterfugi e la sua vita scorre più o meno tranquilla tra casa e scuola, finché il controllo del regime talebano non si inasprisce cambiando per sempre le cose.
I talebani prendono di mira il suo insegnante, colpevole di portare avanti le sue lezioni sovversive: “1+1? TUTTO se i due si vogliono bene!”. Il maestro morirà giustiziato con un’esecuzione esemplare davanti a tutti i suoi studenti. Da quel momento parte la fuga di Enaiatollah, attraverso il Pakistan, l’Iran, la Turchia e la Grecia, prima di giungere nella tanto agognata Europa e infine in Italia. Un viaggio fatto di lavori più o meno massacranti, estenuanti camminate tra le gelide montagne dell’Iran, trafficanti di uomini senza scrupoli e gesti di inaspettata umanità che lo porteranno, nonostante gli orrori incontrati, a credere ancora nelle persone.
Einat riuscirà a ottenere il permesso di soggiorno come rifugiato politico, iniziando così una seconda vita, al sicuro, con la speranza di un futuro davanti a sé e incubi ricorrenti a ricordagli quanto gli sia costato.
Il volto, l’intero corpo di Christian Di Domenico si trasformano e si plasmano al servizio di quelle parole dolorose e difficili che raccontano l’odissea del protagonista. Il suo volto si fa fiero, spaventato, il suo corpo piccolissimo e davvero irrigidito per il tragitto nel doppiofondo di un camion o accartocciato nel cassone di un pick-up.
La sua voce commuove e rapisce il pubblico che riempie la sala e restare indifferenti davanti alla storia di quest’uomo che è la storia di migliaia di altri uomini, donne e bambini è impossibile.
La televisione in questi giorni ci mostra nuovi massivi sbarchi. Ci racconta la tensione a Lampedusa, l’insofferenza di chi non ha affrontato solo un viaggio in mare, ma da mesi, da anni a volte, lotta a ogni maledetto costo per guadagnare un giorno di vita in più. Ventiquattro ore alla volta, restare vivo e continuare a combattere fino al traguardo successivo che lo porterà un passo più vicino alla meta finale, o forse tristemente al punto di partenza.
La storia di Einat è una storia che conosciamo bene, ma a cui siamo tristemente abituati, o forse anche un po’ assuefatti. La storia di Einat fa riflettere perché nel suo dolore è una storia di vittoria. Einat è uno dei fortunati che questo viaggio riescono a raccontarlo. Ma ci parla anche di tutti coloro che non ce l’hanno fatta. Che sono morti di stenti, di freddo, di caldo, di sete, di malattie sconosciute, di botte. Annegati. Sconfitti nel tentativo di proteggere l’unica cosa che avevano: la loro vita.
Prima dello spettacolo siamo riusciti a scambiare due chiacchiere col Dottor Chieppa e gli abbiamo chiesto quanto fosse importante portare in scena un testo come questo, in questo momento poi, in cui l’immigrazione è un tema quanto mai centrale. “La questione non è se accogliere tutti, qualcuno, quanti… ma come farlo. L’obbiettivo da raggiungere è che si attui un’accoglienza realistica, che si costruisca un sistema concreto, efficace e duraturo”.
Il Preside della sezione Nazareth – Barletta poi ci ha tenuto a raccontare del progetto portato avanti da Caritas in collaborazione con l’Ass. Medici Cattolici, che insieme hanno avviato un ambulatorio dove si alternano vari specialisti, garantendo un presidio sanitario di qualità, accessibile a tutti, fondamentale in un momento storico in cui la crisi economica porta le famiglie e tutte le persone in difficoltà a trascurare in primis la salute.
Ospiti d’onore della serata e parte attiva del talk finale sono stati, tra gli altri: l’Arcivescovo di Trani – Barletta – Bisceglie Monsignor Leonardo D’Ascenzo, il professor Ferdinando Parente Cavaliere di Gran Croce e Luogotenente per l’Italia Meridionale Adriatica dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Don Geremia D’Acri e la professoressa Mariagrazia Vitobello, per il Centro Studi Barletta in Rosa. Ad affiancare Il professor Chieppa nella conduzione della serata c’era Christian Binetti e ad allietare il pubblico con la sua voce vibrante Cinzia Simonè, accompagnata dalle magiche corde del Maestro Gianni Colonna.